05/03/2014 10:07
IL ROMANISTA (D. GALLI) - La solitudine del numero 16. A De Rossi è rimasto l’affetto della Roma, l’affetto della Roma società e di quei romanisti che non hanno preso parte alla ghettizzazione di massa, al sommario processo mediatico che ha sbattuto il mostro in prima pagina. Fino al pomeriggio di ieri non risultavano telefonate dal Ct Prandelli. Risulta invece che De Rossi ci sia rimasto male. Per la telefonata che non c’è stata? No, per la convocazione mancata. I tempi di Lippi sono lontani, e con loro la riconoscenza di questa Nazionale con cui Daniele ha vinto un Mondiale.
Hanno preso tutti tre-giornate-tre. De Rossi, Juan Jesus e Berardi. Gli altri due sono stati però appena incisi nei pezzi, elementi di contorno nel filone principale. Hanno detto, scritto, filmato, hanno ricordato come il romanista sia recidivo. Hanno detto, scritto, filmato, hanno ricordato, parlato e straparlato solo di Daniele De Rossi. La caccia alle streghe s’è aperta solo per Daniele, colpevole della manata barra pugno a Icardi, manata barra pugno di cui Icardi non s’è evidentemente accorto. L’interista non ha reagito. Zero. Come se non fosse successo nulla. Strano. Anomalo. Stupisce che un uomo alto 181 centimetri non reagisca, subisca, porga l’altra guancia. A meno che... A meno che lo stesso Icardi non abbia minimizzato, concludendo sull’assenza di malafede, a meno che lo stesso Icardi non sia giunto alle stesse conclusioni della Roma. E cioè che non c’è stata violenza, non c’è stato quello che in gergo giuridico è chiamato dolo. La Roma lo pensa e l’ha scritto, si trova nel ricorso che sarà discusso venerdì davanti alla Corte Federale per far cancellare la sentenza di primo grado: tre giornate per condotta violenta. È il minimo, sia chiaro. Significa che se la Corte accoglie il reclamo della società, De Rossi sarà in campo a Napoli. Perché non se ne esce, o c’è stata la condotta violenta, e allora ci stanno le tre giornate, oppure non c’è stato nulla, come sostiene la Roma e come la dovrebbe pensare chiunque abbia giocato a pallone dalla periferia del calcio - pozzolana e campetti in cemento - fino alla Serie A.
Ieri Daniele s’è allenato regolarmente, come se fuori non fosse successo niente. Forse perché davvero non è successo niente, perché quello che conta davvero è fuori da tutto questo. La pace di un padre di famiglia è nella compagna, nelle figlie, nel mare di Ostia rifugio di questi tempi tornati cupi. La società lo ha lasciato tranquillo, ma gli sta vicino. Vicinissimo. Garcia ha parlato a nome della Roma (ormai tra lui e Lei c’è una discreta identità, la trasfusione di romanismo in Rudi è quasi completa). Il tecnico ha parlato di episodi analoghi «accaduti a inizio stagione contro di noi»: «Ma non ho visto nessuna sanzione contro di loro. Spero non ci siano due pesi e due misure». Episodi analoghi. Uno a caso: il pugno di Candreva a Torosidis. A Trigoria raccontano di un De Rossi deluso. Quello stesso De Rossi che ha sposato l’azzurro, che ha servito e riverito quella stessa Italia che ancora una volta l’ha sbattuto sul banco degli imputati. Quella stessa Italia che adesso non lo convoca e nemmeno lo chiama, come se De Rossi fosse l’ultimo pischello arrivato, il cattivo ragazzo sui tabloid di mezzo pianeta, il piantagrane che in Brasile può commettere «gesti folli». Uno alla Balotelli, per intenderci. Non pago, non sazio, il Ct ieri ha rinfocolato la polemica, ha riattizzato il fuoco: «Codice etico? Penso che quando dovrò fare le convocazioni, nessuno dei top player farà gesti come quelli visti questo weekend». Capito, Danie’?