È il made in Usa. Ora il pericolo arriva dalla città

27/03/2014 10:24

CORSERA (G. TOTI) - Ora è da Roma à che deve guardarsi la Roma di calcio, se domani vuole vedere realizzato il progetto del suo nuovo stadio, presentato ieri mattina in Campidoglio. Potrà sembrare un paradosso eppure solo chi è nato qui può conoscere fino in fondo quanto sia pericolosa l’infinita rete di lacci, tentacoli e sabbie mobili che ancora oggi asfissia la Capitale. La burocrazia spietata, la politica e i suoi ricatti, l’imprenditoria arraffona e indifferente al bene comune: questi restano i «mostri» con cui l’americano James Pallotta potrebbe (e sottolineiamo il condizionale, sperando di sbagliarci) essere costretto a fare i conti.

Ne seppe qualcosa Dino Viola, il più grande presidente della storia giallorossa, il primo a invocare e a immaginare un altro stadio a Roma, in netto anticipo sui tempi (come spesso gli succedeva anche su altre questioni). Da allora, certo, sono passati più o meno trent’anni: un’eternità.

Oggi, forse per la prima volta, la possibilità di vedere finalmente un nuovo impianto nella Capitale — un impianto moderno, funzionale, vivibile dalla collettività per tutta la settimana — è molto più che concreta, come pure dimostra il sostegno del Campidoglio. Ci auguriamo allora che le ambizioni di Pallotta e del suo management, la voglia di allargare i confini e di essere al passo con i migliori club europei, siano più forti di tutto e di tutti. C’è bisogno che sia la volta buona.