01/03/2014 12:03
CORSERA (P. CASARIN) - L’Ifab (International Football Association Board) promulga, custodisce e modifica le regole dal 26 ottobre 1863. Fin dall’inizio determinò il modo di giocare a calcio facendo leva sul fuorigioco: fissando il numero dei difensori (tre) che l’attaccante avrebbe dovuto superare per arrivare al gol, si otteneva l’equilibrio tecnico tra difesa e attacco delle due squadre. Con il miglioramento della qualità dei difensori era sempre più difficile segnare; dal 1925 si favorì la realizzazione del gol permettendo all’attaccante di essere in gioco con soli due difensori, compreso il portiere, tra sé e la linea del gol. Una rivoluzione, una pioggia di gol che trasformò e sviluppò il calcio: dal 1930 si partì con il primo Campionato del mondo in Uruguay. L’arbitro garantiva che la palla non superasse le linee perimetrali, per il resto il fair-play tra i calciatori la faceva da padrone; la sua divisa borghese( perfino il doppiopetto!) lo rendeva estraneo alla battaglia sportiva. Il calcio rimase ingabbiato dall’Ifab fino alla soglia del 1990: ogni anno, piccoli ritocchi e un occhio di favore alla difesa.
Il portiere tratteneva a lungo il pallone sottraendolo di fatto alle squadre; nel dubbio il fallo favoriva il difensore; il gioco effettivo, a causa di mille interruzioni, oscillava intorno i 40’; i gol latitavano. Anche le grandi idee di gioco nuovo, veloce e tecnico, nate in vari club europei a partire dall’Olanda non avevano trovato promozione regolamentare a causa dell’insensibilità dell’Ifab.
E l’arbitro? Applicava le regole, senza verifiche oggettive, tutelando la sua funzione conservatrice. Dopo il fallimento del gioco espresso a Italia ’90, non solo la Fifa, ma molte forze imposero un netto cambiamento: anche la Tv era ormai in grado di testimoniare l’inadeguatezza di quel prodotto. Ai tanti cambiamenti resi urgenti dall’apertura di mercati e da investimenti nuovi, a partire dal Mondiale 1994 negli Usa, l’arbitro rispose rapidamente. Cambiata la divisa nera passò ai colori, si mise a correre, dovette ringiovanire; per fortuna, ai bordi del campo, fiorivano gli esperti del fuorigioco. La televisione non voleva perdonare gli errori, anzi cominciava a premere per avere l’ultima parola. Finalmente i cambiamenti delle regole partivano dal gioco: la Fifa minacciava lo scioglimento dell’Ifab, se non fosse passata una maggior tutela dell’integrità dei calciatori, alcuni dei quali (esempio: Van Basten) erano stati costretti a smettere per i ripetuti falli subiti. La richiesta dei nuovo mercato era quella di un gioco meno fisico e più tecnico. E ovviamente di un maggior numero di gol. Gli arbitri facevano il possibile, pressati dalla preparazione e schiacciati dall’implacabile valutazione di ogni loro fischio. Così lo sbarco (inevitabile) sulla riva del professionismo ha incrementato l’illusione della perfezione e cancellato ogni forma di umana tolleranza.
Siamo ai giorni nostri: l’Ifab, ormai al tramonto, ha cercato, per qualche gol in più, di complicare il fuorigioco e si oppone, sulla base di coerenze cocciute, alla depenalizzazione del gioco del portiere: sembra divertirsi a rendere impossibile la vita dei fischietti! Nella riunione di oggi si finirà per parlare di moviola, ma prima di mettere in competizione tecnologia e arbitri, bisognerebbe fare in modo che le regole siano scritte anche per l’uomo con il fischietto. Forse un giorno sarà il calcio globale, finalmente, a dettare regole più semplici e a decidere se preferire gli arbitri in campo piuttosto che quelli, con gli stessi dubbi, al servizio della telecamera. Oppure dirà di aver bisogno di entrambi. Ma con chiarezza.