29/03/2014 11:10
GASPORT (A. CATAPANO) - Dalla sua stanza d’albergo, da anni ostinatamente lo stesso, vede il Colosseo. «È una meraviglia, capito perché non vado altrove?». Facile svegliarsi, aprire la finestra e farsi scoprire dal mattino. Oltretutto, è uno di quei giorni in cui si può ringraziare il cielo di essere nati a Roma: c’è una luce avvolgente, il rumore di fondo è sostenibile, la visita di Obama ha lasciato in eredità perfino un po’ di pulizia nella stazione della metro. «Come si fa a non amare questa città?». Nella terrazza dove servono la colazione chiunque può sentirsi come il Jep Gambardella de La grande bellezza: adorato, ricercato, coccolato. Anzi, prima di tutto ringraziato. «Obrigado, Falcao » è la formula con cui il tifoso si rivolge al campione. Una specie di parola d’ordine, la stessa da quasi trent’anni. E un codice di accesso al suo cuore. «Ogni volta — confessa — questo affetto mi commuove». Lo chiamarono, e lo chiamano ancora oggi, il Divino. Perché prima del suo avvento e fino all’apparizione di Francesco Totti, nessuno a Roma aveva ricevuto tanta grazia calcistica.
Falcao, ma lei se la spiega tanta gratitudine a distanza di trent’anni? «Francamente no. E tutte le volte mi dico: “Da quando ho lasciato questa gente, la Roma ha vinto uno scudetto, ne ha sfiorati altri due o tre, ha conosciuto grandi giocatori, oggi ha una proprietà americana e finalmente può sognare uno stadio degno della propria passione”. Eppure, l’amore per me è immutato e, forse, immutabile. Essere rimasto nel cuore dei romani è il mio orgoglio più grande. Trent’anni fa ci speravo, ma non lo immaginavo così».
In questi giorni si sarà reso conto che i romanisti sono... felici. «Ne hanno tutti i diritti. Ho respirato l’atmosfera in cui è stato presentato questo progetto dello stadio: si ha la consapevolezza, a ragione, che renderà la Roma una società di prima grandezza. E poi c’è la squadra, che fa cose straordinarie ».
Merito di...? «Tutti, perché la bellezza della Roma di Garcia sta nella sua visione d’insieme, oserei dire nel suo collettivismo, C’è questa interdipendenza tra i reparti, tutti si aiutano per il bene comune e poi la rosa è un mix riuscito di giocatori che corrono e di bravi giocatori, con Totti che continua a fare la differenza per 40’50’ a partita. L’allenatore è molto intelligente, mi hanno detto tutti che con lui si sentono tranquilli. A me questa squadra ricorda la mia prima Roma, quella del campionato 198081. Una squadra bella, simpatica, rivoluzionaria con quella difesa a zona. Solo per questi motivi, avremmo dovuto vincere lo scudetto già quell’anno, a parte il famoso gol di Turone...».
Invece arrivaste secondi. Come questa Roma, pare. «Con un distacco in classifica più ampio, però. È un peccato, perché se questa Juventus marziana avesse gli stessi punti dello scorso campionato, la Roma sarebbe ancora pienamente in corsa per lo scudetto. La mentalità vincente dei bianconeri è un’altra delle cose immutabili e, in fondo, quello che noi romanisti gli abbiamo sempre invidiato. Ma io ho fiducia nella Roma di Garcia: può aprire un ciclo, come quella di Liedholm negli anni Ottanta».
Rispetto ad allora, è il calcio italiano ad essere decaduto. Ai suoi tempi, oltre a lei, c’erano Platini, Zico, Junior e Maradona. Oggi, invece, tira di più anche il campionato francese. «È vero, l’unico campione di caratura internazionale in Italia è Tevez, e infatti fa la differenza. Servono nuove fonti di ricavi per competere con Liga, Premier e Bundesliga, per questo applaudo al progettostadio della Roma che, non a caso, segue l’esempio della Juventus. Però io continuo a preferire il vostro campionato, e come me tanti brasiliani. Sarà una questione di affetto, ma per me la Serie A conserva intatto il suo fascino».
L’Italia di Prandelli le piace? «Molto, e ve lo dico subito, alla faccia della vostra scaramanzia: farà un grande Mondiale, ha tutte le carte in regola per arrivare in fondo: la solita grande difesa e, in più, la voglia di giocare a calcio».
Non le pare troppo Balotellidipendente? «Premessa: per me Mario è un campione. Punto. Non giudico l’uomo, non lo conosco. Ma il talento è indiscutibile. L’Italia, però, ha tanti altri giocatori in grado di fare la differenza, penso a Buffon, De Rossi, soprattutto Pirlo».
Prima domanda d’obbligo: il 12 luglio chi alzerà la Coppa? «Risposta facile: chi dimostrerà di stare meglio in quel mese. Le distanze e il clima avranno il loro peso».
L’Italia si preoccupa dell’umidità di Manaus, in Amazzonia, dove è previsto l’esordio con l’Inghilterra. «Non vorrei che fosse il solito vostro modo di mettere le mani avanti. Nel ‘94 quanta umidità c’era negli Usa? Eppure arrivaste in finale».
E perdemmo ai rigori col suo Brasile. A proposito, siete voi i favoriti d’obbligo, no? «E perché? Certamente la Seleçao non sarà più abituata delle altre al clima. I migliori giocano tutti in Europa».
Preoccupato dal rischio di grandi manifestazioni di protesta? «Un po’, perché spesso purtroppo sono sfociate in violenza gratuita. Però condivido l’indignazione dei brasiliani: doveva essere un Mondiale solo per investitori privati, finirà che ci sono voluti i soldi pubblici. Questo non va bene».
Sta per tornare la Champions, seconda domanda d’obbligo: chi la vince quest’anno? «Nei quarti ci sono degli accoppiamenti pazzeschi, impossibile fare un pronostico. Se ne devo dire una, il Bayern. Ma io farò il tifo per il Real Madrid di Ancelotti. Quanti ricordi con il mio amico Carletto ».
Terza (e ultima) domanda d’obbligo: nel calcio di oggi Falcao come se la caverebbe? «Bene, proprio come trent’anni fa. I bravi calciatori sono senza tempo». Divino...