27/03/2014 10:11
CORSERA (L. VALDISERRI) - Una buona sintesi della presentazione in Campidoglio del nuovo stadio della Roma può essere questa: saldare passato e futuro attraverso una grande passione popolare come è il calcio. L’architetto Dan Meis, nel suo progetto, ci è riuscito. C’è un richiamo alla classicità, ma non è una copia pedissequa del Colosseo o, peggio ancora, un’americanata come gli inquietanti «spaghetti alla bolognese» che compaiono in tanti menù d’oltreoceano, mescolando la pasta adatta al pomodoro con il sugo che va bene per le tagliatelle.
Alla struttura che ricorderà l’anfiteatro Flavio sarà accoppiato il wi-fi in tutta l’area. Il museo della As Roma, con la sua storia, dovrà convivere con la quotidianità di un megastore sportivo. Le prossime sfide che attendono l’As Roma, il sindaco Ignazio Marino, i sostenitori della Roma e i cittadini romani, anche quelli che non si occupano di pallone, possono essere sintetizzate così: 1) vincerà la voglia di costruire qualcosa di nuovo o la burocrazia?; 2) fatto lo stadio, opera meritoria, chi si occuperà di «costruire» anche chi lo stadio lo deve riempire e cioè i tifosi? Nel primo caso, la risposta la devono dare soprattutto le istituzioni. Marino ha fatto il suo, dicendo che entro 90 giorni, come prevede la nuova legge sugli impianti sportivi, darà la sua risposta sulla fattibilità del progetto.
Bene ha fatto il sindaco a chiarire che lo stadio non verrà aperto fino a quando tutte le infrastrutture necessarie saranno completate. Non si deve correre il pericolo di cadere nel «teorema Cellino». Il presidente del Cagliari, nell’intercettazione di una sua telefonata al «collega» della Lazio, Claudio Lotito, spiegava così il suo piano per poter giocare nell’impianto di Is Arenas al posto del vecchio Sant’Elia: «In attesa di avere la concessione per lo stadio pseudo definitivo, chiedo l’autorizzazione triennale di struttura temporanea amovibile, come quella che ho fatto io. Non va in concessione, te la danno in 30 giorni e ti fai uno stadio così. E poi lo sai che il temporaneo in Italia è sempre definitivo, vero?».
Di cantieri aperti in eterno, Roma non ha bisogno. Ce ne sono già. Sono il presente, non il futuro. Alla seconda domanda, invece, devono rispondere tutti, a partire da una nuova educazione che non può che partire dalla scuola e dallo sport praticato e non solo guardato. Lo stadio di proprietà è una casa e il suo campo di gioco, come ha detto Rudi Garcia con efficace sintesi, è il giardino di quella casa.
L’architetto Meis ha chiarito, qualora ce ne fosse bisogno, che lo stadio non prevederà barriere o recinzioni tra gli spalti e il campo da gioco. Un’ottima idea, perché la parete che divide il maleducato dal protagonista dello spettacolo protegge sempre il maleducato, che sfoga i suoi istinti peggiori. Tutti, invece, saranno il custode del giardino di casa e non ci si potrà voltare dall’altra parte, come è successo troppe volte con razzismo e violenza, delegando ad altri. L’asticella è stata posta molto in alto, speriamo che Roma non abbia paura di saltare.