01/03/2014 10:52
CORSERA (L. VALDISERRI / A. BOCCI) - Prima ha rimesso la chiesa al centro del villaggio, nella data benedetta del 22 settembre 2013, battendo per 2-0 la Lazio. Vittoria importantissima, ma dentro il Grande Raccordo Anulare. La consacrazione per tutti, cancellando quel soprannome «il sergente Garcia, quello di Zorro» che gli diede Maurizio Gasparri, è arrivata il 5 ottobre, a Milano: 3-0 all’Inter. È lì che il pallone italiano si è convinto che Rudi Garcia era da prendere sul serio.
Dopo 146 giorni, incontrando di nuovo Walter Mazzarri, che prima di lui fu vicino alla panchina giallorossa, Garcia ha rafforzato i numeri: si presentò con 4 punti di vantaggio a San Siro («Stadio pieno di storia, ma con spogliatoi angusti», racconta nella sua autobiografia «Tutte le strade portano a Roma») e sono diventati 17, con una partita da recuperare (contro il Parma, il 2 aprile). Ha migliorato anche il suo italiano, tanto da permettersi in conferenza stampa una chicca come «bollettino medico», che snocciola con cura: «Torosidis sta bene e Pjanic sta abbastanza bene, anche se lo valuteremo. Florenzi può essere nel gruppo, Gervinho è perfetto. Gli altri sono tutti a posto». Tutti tranne Totti (due gol a San Siro), Dodò, Balzaretti e Maicon, che dopo l’andata contro la sua ex squadra salterà anche il ritorno.
L’emergenza terzini è alta, ma non ci sarà l’en plein (4 fuori su 4) di Bologna: almeno Torosidis ha recuperato, sarà confermato a sinistra il giovane Romagnoli. Il ginocchio di Pjanic lo tiene a rischio: non dovesse farcela, centrocampo da battaglia con Nainggolan, De Rossi e Strootman. Le scelte dell’attacco dipendono anche da questo: favoriti Gervinho, Destro e Ljajic. Garcia sa che mancherà il cuore del tifo e rilancia la sua proposta di tregua: «Dobbiamo giocare anche per chi non ci sarà. I tifosi devono adattarsi a questa legge, giusta o sbagliata che sia. Il problema di queste norme è che lasciano troppo spazio all’interpretazione, così sembra che una cosa venga punita e un’altra no».
Sul fronte arbitri sembra glissare («Ho sentito e letto molte cose in settimana sulle vicende arbitrali, non c’è nulla da aggiungere»), poi, però, piazza due colpetti. Sui rigori che all’Inter non fischiano mai: «Non è solo il caso dell’Inter». Su Antonio Conte che considera gli arbitri italiani i più bravi del mondo: «È la sua opinione». Come la settimana scorsa, la Roma giocherà prima della Juve: «Aspetteremo i risultati degli altri, ma prima dobbiamo battere un’Inter di qualità: è un club di alto livello, con buoni giocatori e con un bravo allenatore». Pallotta, però, non è pentito di aver scelto lui e non Mazzarri. Tanto che, dopo aver fatto firmare Sabatini fino al 2017, il presidente andrà all’assalto del tecnico per allungargli il contratto.
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È una sfida dell’altro mondo perché Roma e Inter sono le sole società con una proprietà straniera e avvicinano lo scalcinato campionato italiano alla ricca e nobile Premier League.
Ma James Pallotta, america no di Boston e Erick Thohir, indonesiano di Giacarta, hanno poco in comune, se non la passione per il basket, arrivata prima dell’amore per il calcio. Pallotta nella capitale è stato accolto come un re, ma dopo due anni in cui ha speso tanto e raccolto zero, ha conosciuto la feroce ironia dei tifosi giallorossi. Thohir, la diffidenza del popolo interista l’ha sperimentata sin dal primo giorno, un po’ perché ha parlato più di conti che di acquisti, di marketing più che di progetti tecnici e molto perché prende il posto dei Moratti. E chi ha l’Inter in testa e nel cuore pensa naturalmente alla famiglia che ne ha segnato la storia, prima papà Angelo, poi Massimo che nel 2010 ha regalato ai tifosi il Triplete, una specie di Sacro Graal. La Roma oggi sogna, l’Inter annaspa.
È normale che Pallotta sia avanti rispetto a Thohir. Ha sbagliato, pagato e cambiato registro. Ci ha messo la faccia, separato la coppia Baldini-Sabatini dando pieno poteri a quest’ultimo, a cui ha rinnovato il contratto sino al 2017. Così chi lo chiamava «american straccion» si è ricreduto. E ora, all’apparenza, la Roma ha un futuro radioso e con i soldi della Champions potrebbe fare un salto di qualità. Il progetto di Thohir è ancora avvolto nel mistero. Il nuovo proprietario incoraggia Mazzarri, ma non nasconde la stima per Frank De Boer; parla di giovani e il primo acquisto è Vidic,che ha superato la trentina da un pezzo. Il suo obiettivo, riequilibrare i conti e potenziare la squadra, è affascinante, ma quasi impossibile da realizzare. Nel calcio per vincere bisogna spendere.