19/03/2014 09:19
LA REPUBBLICA (F. S. INTORCIA) - Il talento è l’antica unità di misura delle nazionali di calcio. Veste i sogni e, insieme, evoca ombre di una difficile gestione. «Con un talento in più si è spesso più insicuri che con uno in meno», sosteneva Nietzsche, pure lui consapevole, evidentemente, di quanto sia dura la vita di un commissario tecnico a pochi mesi dal Mondiale. In un campionato umano, troppo umano, gli italiani più forti restano Cassano e Totti. L’ha detto chiaramente l’ultimo turno: la doppietta del barese al Milan, il gol (il 233° in A) del capitano giallorosso all’Udinese, appena rientrato.
E proprio Totti ora si candida per il Brasile: «Cassano lo porterei al Mondiale. E Totti? Se sta bene, perché no», ha detto Francesco in un’intervista a Il Romanista parlando in terza persona, come usa fra i grandi. Un duplice endorsement che sgombera il campo dal dubbio sulla sua reale disponibilità a tornare in azzurro, a 8 anni dall’ultima, felicissima apparizione: la finale di Berlino. Il tarlo l’ha insinuato l’amichevole con la Spagna, a cento giorni dalla coppa: di là, Del Bosque tirava fuori fenomeni dalla panchina come conigli dal cilindro, di qua Prandelli s’affidava a Osvaldo, ripudiato dal Southampton, e rimpiangeva Balotelli, non proprio amato in questi giorni dai tifosi del Milan. Penuria di fuoriclasse. A Totti il ct aveva aperto in autunno, quando lui spingeva la Roma in vetta: «Francesco fino a quando ha giocato ha fatto grandi cose, dimostrando di meritare la convocazione». Poi, l’infortunio e la lunga assenza del numero 10 hanno cassato il tema dall’agenda. Su Cassano, bocciato dopo l’Europeo per ragioni disciplinari, Prandelli ha sondato gli umori dei senatori, ma ufficialmente non si è sbottonato: «Le porte non sono mai state chiuse ma neanche troppo aperte».
Il ct in Brasile vuole atleti capaci di sconfiggere anche il caldo e l’umidità, e giocatori duttili in grado di inserirsi nel contesto di squadra su cui ha lavorato per il biennio. In questa chiave, peraltro, destano allarmi gli infortuni di Abate, Maggio, Marchisio e Barzagli, che s’aggiungono al crac di Pepito Rossi. Ma se il destino azzurro di Totti passa soprattutto dallo stato di forma, il ritorno di Cassano, messosi a dieta ed esaltato dal ruolo di falso nueve a Parma, dipende soprattutto dalla pax con Cesare. Il 13 maggio va consegnata la lista di 30 preconvocati, ma già i test del 14 e 15 aprile diranno chi è sicuramente fuori dai giochi. La situazione di Fantantonio ricorda, giusto un po’, quella di Roby Baggio nel ‘98: pure lui si era trasferito da Milano in Emilia, pure lui guadagnò il Mondiale a furor di popolo a 31 anni. L’allenatore azzurro era Cesare Maldini, che ricorda: «La scelta di chiamare Baggio aveva una ragione chiara: se si vuole giocare un bel calcio, come piace a me, bisogna portare i più bravi tecnicamente. Di talenti non ce n’è mai abbastanza, il dualismo con Del Piero fu una invenzione dei giornali, durante una coppa i fuoriclasse sanno accettare le decisioni del ct. E io con Baggio sapevo già dove farlo giocare, conta anche questo».
Inevitabile la proiezione sull’Italia di oggi: «Non so se Balotelli sia davvero un talento, fin qui s’è dimostrato un buonissimo giocatore con lunghe pause, credo che lui stesso sappia cosa deve ancora fare per entrare davvero fra i grandi. Cassano e Totti li prenderei in considerazione certo. Uno sta bene, ha anche quella forza e quella continuità che gli sono sempre mancate. L’altro, quando gioca, fa la differenza in una Roma seconda in classifica: può esserci l’incognita dell’età, ma se stai bene a maggio, non evapori a giugno. Però la decisione spetta solo a Prandelli, ricordiamocelo: lui sa qual è l’idea di squadra che vuole portare in Brasile e chi è funzionale a quella idea».