22/04/2014 10:27
IL TEMPO (A. AUSTINI) - In Champions dopo tre anni di buio. Una sfilza di record e gli inevitabili rimpianti. È già tempo di bilanci per la prima Roma di Garcia, che è anche la terza dell’era americana.
Se ci affidiamo ai numeri nudi e crudi, nessuno aveva fatto meglio fino ad ora nella Capitale: 82 punti a quattro giornate dal termine che sono gli stessi conquistati da Spalletti in tutto il campionato 2007-08 e 27 in più dell’anno scorso, 25 vittorie di cui 10 consecutive iniziali (non c’era mai riuscito nessuno in avvio) e 8 nelle ultime 8 partite, 20 partite senza subire gol. Solo una Juventus mostruosa non consente di trasformare i dati impressionanti nel quarto scudetto della storia giallorossa. Nella sua analisi lucida e spietata, Malagò spiega tutto il resto: «Con numeri del genere - dice il presidente del Coni a Radio 1 - la Roma doveva vincere il titolo. È un campionato livellato verso il basso, con tante partite non belle condite da uno spettacolo disarmante negli stadi».
Ma questa è un’altra storia. A Trigoria, giustamente, sono soddisfatti perché nessuno dimentica da dove si era partiti. Ora è il momento di distribuire i meriti, col rischio di incappare nella storia dell’uovo e la gallina. «La società - ha sottolineato Baldissoni a Firenze - è sempre più importante dell’allenatore, guai se fosse vero il contrario. La Roma c’era prima e ci sarà anche dopo Garcia, che però vogliamo tenere a lungo». Senza l’intuito di Sabatini e dello stesso Pallotta, Rudi non sarebbe qui. Fosse dipeso dal diesse, anzi, il francese sarebbe arrivato tre anni fa. Portarlo comunque a Roma dopo i fallimenti di Luis Enrique e Zeman è stata una mossa coraggiosa.
Il mercato, vedi i casi di Benatia e Strootman, era stato impostato prima dell’avvento del francese. Che poi ci ha messo tanto, tantissimo del suo. Ha convinto Sabatini a puntare su giocatori più esperti (De Sanctis e Maicon) rispetto ad altri (Rafael e Wallace) ma senza rinunciare del tutto ai giovani (Destro, Romagnoli e Dodò). Ha insistito per avere Gervinho. Ha capito che poteva nascere una grande Roma anche senza Marquinhos, Lamela e Osvaldo. Ha rianimato un gruppo depresso, sfiduciato, pronto a sfaldarsi: De Rossi e Pjanic, per citarne due, avevano i bagagli in mano. Ha capito quanto era importante portare subito Totti dalla sua parte. Ha protetto la squadra dalla contestazione strisciante dopo il ko in Coppa Italia. Ha costruito il nuovo impianto tattico partendo dalle fondamenta della difesa. Ha studiato il passato recente e costruito in fretta il presente.
È nato così il «sistema Garcia», dove i 26 giocatori utilizzati nell’arco della stagione si sono inseriti a rotazione dando sempre lo stesso risultato: una squadra solida, capace di cambiare tattica nel corso della partita, imperforabile in difesa e sempre vivace in attacco. Dopo la straordinaria partenza, nelle ultime 8 gare la prova che la Roma non dipende più solo dalla qualità degli interpreti: da Napoli alla Fiorentina, Garcia ha perso via via l’asse centrale Benatia-Strootman-Destro ma la squadra ha continuato a vincere.
L’ambizione di Rudi, che vuole provare ancora a dar fastidio alla Juve, è la garanzia per un futuro ancora più radioso. La società cercherà di accontentare quanto più possibile la sua richiesta di confermare tutta la rosa e rinforzarla con gli acquisti: il modo migliore per convincerlo in fretta a firmare il rinnovo di contratto e a respingere le offerte che inevitabilmente stanno piovendo da tutta Europa. Esempi? Il «solito» Psg gli affiderebbe il dopo-Blanc, la Juve lo considera l’uomo giusto quando un giorno, prima poi, dovrà sostituire Conte. La Roma prova a tenerselo stretto. E a diventare grande a prescindere da lui. Altrimenti sarebbero guai.