02/04/2014 11:02
CORSERA (P. CASARIN) - Il caso Rizzoli, eclatante per le inusuali modalità operative che hanno determinato la scelta dell’arbitro bolognese nel non concedere il rigore al Sassuolo (nella foto) dopo un lungo dibattito in campo con giocatori e assistenti (4’37”), non va liquidato con frettolose condanne o assoluzioni superficiali. Il disagio sofferto da Rizzoli, in quei minuti, impone un’analisi accurata dell’episodio per ricercare e trovare, se possibile, metodi più efficaci di valutazione dei fatti di gioco che decidono una partita. Si dovrebbe approdare ad uno studio sulla possibilità reale di fornire il giudizio certo da parte di uno o più arbitri. Individuando dapprima il carico di responsabilità che «quegli arbitri», in condizione di estrema difficoltà, sono in grado di sopportare. Va ricordato che la capacità arbitrale è in funzione diretta dell’autostima di quel periodo e di un grado elevato di presunzione tecnica.
All’estero gli arbitri italiani sono generalmente sicuri e capaci, perché dirigono due squadre senza storie pregresse; in Italia gli stessi arbitri, con una esperienza superiore alle cento gare di serie A, sono appesantiti da una storia statistica non sempre trascurabile. Ovviamente se sei in grande condizione psicologica leggi la tua storia e sorridi. L’arbitraggio di una partita di calcio prevede un solo leader; anche il tentativo del doppio arbitro testato proprio da noi (edizione 1999-2000 della Coppa Italia) era fallito per le tante differenze di interpretazione tra i due fischietti diventati, con quella modalità, semi leader. L’adozione degli arbitri di porta può essere utile per i gol fantasma, ma cozza fortemente con l’arbitro centrale, se gli eventi portano gli addizionali a comportarsi come leader di soccorso.
Se l’arbitro centrale ha più titoli del soccorritore, tendenzialmente lo trascura; se è meno esperto dell’addizionale, lo potrebbe inconsapevolmente subire. Prima che arbitri, sono tre persone e per questo potrebbero mescolare stati di grazia, capacità tecnica e livelli di autostima disuguali con abbassamento inevitabile della prestazione collettiva. L’arbitro merita attenzione e può cadere in errore, per uno dei tanti fattori che influenzano la prestazione. Infine se quest’uomo è complesso di suo, è forse facile il gioco e sono prevedibili le situazioni del campo che dovrebbe governare in un turbinio di energie emotive? La riposta non può che essere: no. A proposito, con un gioco così veloce e con tanta fisicità in campo, come può un uomo trattenere tanti fotogrammi, confrontarli con le regole e dare impulsi al fischietto? Il dubbio viene a me: ma l’arbitro di oggi che cosa vede effettivamente? E ancora: quante informazioni sul gioco non riesce a valutare? Per aiutare l’arbitro a crescere e pretendere da lui il massimo, ma non di più, mettiamogli una telecamera sulla fronte e confrontiamo quello che è passato davanti ai suoi occhi e nel suo cervello con quello che la tecnologia, eventualmente, può (o potrebbe) fornire in più. Lasciamo anche all’arbitro la scelta: essere proprio lui a decidere da innovatore responsabile