«Gastone», il boss della Sud che disse a Totti di non giocare

04/05/2014 11:46

CORSERA (R. FRIGNANI) - Era il 25 settembre di sei anni fa quando il giudice monocratico Patrizia Pacifici dispose il «non doversi procedere» nei confronti di D D S e di altri sei imputati per il derby del marzo 2004 sospeso — e seguito da gravi incidenti fuori dall’Olimpico, come quelli di ieri — con la falsa notizia di un bimbo investito e ucciso da una camionetta della polizia.

Prescrizione del reato dopo che nei confronti di «Gastone», come D S è da sempre conosciuto negli ambienti del tifo romanista e anche dalle forze dell’ordine, erano già cadute altre contestazioni, come istigazione a disobbedire alle leggi dello Stato e violenza privata, oltre all’invasione di campo. Una vittoria, in un’aula di tribunale, per uno dei protagonisti di quella drammatica e surreale serata dove per calmare gli animi dei tifosi non furono nemmeno sufficienti le rassicurazioni gridate dalle autorità dall’altoparlante dello stadio.

Ieri sera il nome di «Gastone» è tornato alla ribalta ancora una volta: la polizia aspetta di poterlo interrogare al Policlinico Gemelli, dove è piantonato dagli agenti, per scoprire chi ha aperto il fuoco contro i tifosi del diretti, ancora una volta, all’Olimpico. Un mistero, forse collegato a un regolamento di conti fra ultrà rivali, forse una disperata difesa dopo essere stato riconosciuto dai napoletani per via di quel tatuaggio inconfondibile su un braccio: «SPQR».

Per la polizia D S, trovato privo di sensi, con la testa insanguinata, non era solo. Ma l’hanno lasciato solo. E forse questo non era previsto. Da più di 20 anni «Gastone» è uno dei punti di riferimento del mondo ultrà capitolino. E non soltanto di quello giallorosso. Le cronache giudiziarie raccontano di rapporti, amicizie, anche con i laziali. Ma anche di operazioni di polizia e carabinieri, di inchieste, come quella del 1996 quando D S fu arrestato con importanti esponenti del tifo romanista e dell'estremismo di destra per una storia di ricatti all’allora presidente giallorosso Franco Sensi, costretto a consegnare ai capo ultrà pacchetti di biglietti gratuiti sia per le partite all’Olimpico sia in trasferta.

Era quello il nuovo atteggiamento dei «boss della Sud», come li chiamarono in quegli anni, nei confronti di Sensi, succeduto alla gestione Ciarrapico. «Se non ci dai i biglietti — ascoltarono i poliziotti in una delle intercettazioni degli indagati — facciamo lo sciopero del tifo, e allo stato non ci verrà più nessuno. Oppure sfasciamo tutto, vedi un po’ se ti conviene».

«Gastone» era fra loro, come anche nell’elenco dei 19 arrestati per gli scontri a Brescia- Roma, 20 novembre 1994, con l’accoltellamento del vice di polizia Giovanni Selmin. I romanisti erano armati di asce e altri 15 poliziotti finirono in ospedale con gravi ferite. Ma anche allora D S — con altri quattro imputati — fu assolto, per non aver commesso il fatto. Aveva 28 anni. La sua carriera ai vertici dei gruppi (in quel periodo i Boys e Frangia Ostile) che dominavano nella era già avviata. I romanisti ascoltavano i suoi interventi nelle radio private, seguivano le sue indicazioni allo stadio. Insomma un leader riconosciuto e influente.

Per questo motivo la sua presenza ieri pomeriggio in quell’ex vivaio trasformato in discoteca a Tor di Quinto proprio mentre passava il grosso dei tifosi napoletani — e quella pistola con il caricatore pieno pronta all’uso — rappresentano un giallo che la polizia vuole chiarire al più presto. Secondo gli investigatori da qualche tempo D S lavorava proprio in quella struttura e lo scontro con gli ultrà azzurri sarebbe stata quindi soltanto una coincidenza che ha poi innescato anche l’assalto alla polizia. Una «causa occasionale », l’ha definita ufficialmente la , che però potrebbe nascondere dell’altro.