Gli spari sui tifosi, fermato un ultrà. Ma è caccia ai tre con i caschi neri

05/05/2014 11:45

IL MESSAGGERO (R. TAGLIAPIETRA / P. VUOLO) - Tre ultrà romanisti con i caschi neri scappano. Le immagini sono chiare. Anche i colpi di pistola sono fedelmente registrati nel video. Se ne contano quattro in rapida sequenza. Nei frame ripresi da un tifoso napoletano col telefonino si vede Daniele , l'ultrà giallorosso, fermato per rissa aggravata e tentato omicidio, mentre tira petardi e sassi contro i rivali napoletani, ingaggiando la guerriglia. E il primo dei frammenti in mano agli investigatori, che racconta una parte di ciò che è accaduto sabato sera, poco prima del fischio d'inizio di -, a un paio di chilometri dai cancelli dell'Olimpico.

Un agguato in stile ultrà, in una zona che a rigor di logica sarebbe da considerare «a rischio», perché proprio lì, al Village il 5 settembre del 2009 si erano riuniti i capi di circa cento tifoserie delle squadre di caldo, tra cui i napoletani, per discutere della Tessera del Tifoso, e perché da sempre quell'area è considerata un ritrovo dell'estrema destra legata al mondo romano delle Curve. Qualcuno, forse, sabato se lo è ricordato. Perché in un altro video, girato dall'elicottero, si vedono sfilare davanti al circolo circa un migliaio di tifosi diretti allo stadio. Una trentina, però, si fermano, come se stessero aspettando qualcosa. Ed è a quel punto che si materializza assieme ad almeno tre complici. «Un pazzo solitario, se ci fosse stata un'azione organizzata l'avremmo vista», ha ribadito ieri mattina il di Roma, Massimo Mazza, mantenendo fede al basso profilo tenuto fin dall'inizio sulla questione e sulle informazioni ufficiali fornite ai media, giudicata dalla stessa «una strategia vincente» per i risultati ottenuti a fine partita. E aggiunge: «Quella era una zona dove non era prevedibile nessun tipo di incidente». In parte ha ragione, perché chi ha sparato (per accusare manca ancora il risultato dello Stub e delle impronte sulla pistola), ha creato un precedente: feriti e morti ce ne sono stati nella storia del calcio italiano, ma mai nessun ultrà, appunto, era arrivato a usare un'arma. A conferma della teoria del «cane sciolto» a metà mattina arriva anche una nota di alcuni gruppi ultrà romanisti che dicono che era «un solitario». Ma per il sostituto procuratore titolare dell'inchiesta, Antonino Di Maio, l'ultrà , i collegamenti con gli ambienti del tifo violento, ce li ha eccome.

I TESTIMONI - Una conferma dell'agguato predeterminato arriva anche dai testimoni. «Siamo usciti dal parcheggio. Ci hanno assalito, erano incappucciati o con caschi e passamontagna, ci hanno caricati e poi sono scappati. Erano in 6 o 7, sono usciti da una stradina privata con un cancello (il circolo Village), da lì hanno iniziato a lanciarci gli oggetti». Dopo i primi petardi contro i napoletani, scenario confermato anche dal capo della Digos, Diego Parente (che dice «il soggetto non era solo, anche se le indagini non ci danno certezza»), gli azzurri reagiscono. E mentre i complici con il casco nero se la danno a gambe levate, fugge in solitaria verso il Ciak Village, lungo la stradina del parco di Tor di Quinto dove stanno pure i campetti di calcio di cui proprio fa il custode. L'ultrà romanista si vede spacciato quando inciampa e cade. E allora che estrae la pistola, una Beretta calibro 7,65 con matricola punzonata. Spara quattro volte, poi la semiautomatica s'inceppa; i poliziotti la troveranno con il carrello aperto e altri colpi nel caricatore. Qualcuno, una donna, la nasconde in un vaso per paura, mentre i napoletani picchiano . Con l'arrivo di altre sirene per soccorrere il gruppetto di poliziotti rimasto isolato, gli ultrà partenopei fuggono verso lo stadio. «Dieci e lode? No, non vogliamo fare la figura dei secchioni - conclude il - C'è sempre la possibilità di migliorarsi, ma siamo stati bravi»