22/05/2014 10:53
IL TEMPO (A. AUSTINI) - Vive come gioca. Sempre all’attacco, col sorriso, senza paura di niente e nessuno. Bisogna incontrarlo da vicino, conoscerlo, guardarlo negli occhi per capire fino in fondo che razza di fenomeno ha in casa la Roma. Quando accende il motore delle gambe spazza via tutti in campo, ma è il suo modo di ragionare, capire, spronare i compagni che lo rende Maicon: il terzino più forte del mondo nel momento in cui decide di esserlo.
Stamattina si imbarca per il Brasile e prima di iniziare la sfida sognata per tutta la vita si volta indietro per raccontarci come è arrivato sin qui: la chiamata della Roma, il sudore, le vittorie. Nello studio del suo agente a Monteverde c’è la foto che lo ritrae sotto la curva dopo il gol al Verona nel debutto in giallorosso all’Olimpico: l’inizio di tutto. Otto mesi dopo è carico il doppio, con il fisico tiratissimo e una nuova scritta tatuata sul braccio: «Ora sei il mio pastore e niente mi mancherà».
È un atleta di Cristo anche lei?
«No. Sono un cattolico non praticante».
Il Brasile vi aspetta con tanta fede.
«Giocare questo Mondiale è un onore, un orgoglio. Anzi: è la seconda cosa più importante della vita dopo i figli».
Lo vincerete?
«Siamo i favoriti, avremo i tifosi al nostro fianco e una squadra compatta in tutti i settori. Neymar può essere la stella del torneo. Adesso è il momento di dimostrare tutto questo in campo».
Non avete paura di un «Maracanazo» bis?
«So che l’Uruguay ha usato quella partita per farci uno spot e spaventarci. È passato tanto tempo, non conta niente. Comunque mi auguro di non incontrarli in finale».
Il Mondiale rischia diventare anche un problema sociale nel suo Paese.
«La gente deve capire che abbiamo questa occasione unica. Godiamocela e basta, senza disordini».
L’avversaria che temete di più?
«La Germania. Per tradizione e perché negli ultimi Mondiali è sempre arrivata in fondo. Poi c’è la Spagna campione e ci siete voi: si parla tanto di una nazionale piena di problemi ma quando si fa sul serio dimostra il suo valore. Balotelli è già un campione, deve solo moderare i suoi atteggiamenti. La mia finale perfetta sarebbe contro l’Italia anche se, guardando il tabellone, credo che ci incontreremo ai quarti».
A proposito di Balotelli: ieri è finito un’altra volta nel mirino dei razzisti. Capita anche a lei?
«Qualche stupido prova a farsi pubblicità ma io non gli do peso: quando vado in campo quello che accade fuori per me non esiste. Se mi avessero lanciato una banana dagli spalti, ad esempio, non l’avrei mangiata come ha fatto Dani Alves. Altrimenti fai il gioco di questa gente, enfatizzi il gesto e se ne parla di più. Se andiamo avanti così, magari tra un po’ pioveranno dagli spalti le angurie».
Tra le favorite del Mondiale non ha citato l’Argentina.
«Ha un attacco fortissimo. Ma mi chiedo: come si fa a non portare Tevez?».
Anche nel Brasile ci saranno tanti assenti illustri.
«Meritavano di venire in 40, forse di più, ma Scolari ha dovuto sceglierne 23 e, come ha detto lui stesso, con noi adesso andrebbe anche all’Inferno».
Se fosse rimasto al City lei rischiava di restare a casa?
«Ho avuto tutti gli infortuni possibili a Manchester e per questo ho giocato pochissimo. A fine stagione ho parlato con Scolari e mi ha promesso la convocazione a patto che avessi ritrovato continuità in un club. Mi ha chiamato la Roma e non ci ho pensato un attimo: ho fatto la scelta giusta. Se il ct della Seleçao fosse ancora Mano Menezes non avrei avuto neppure questa possibilità. Invece ce l’ho fatta, con tanto sudore. Un ringraziamento? Al mio procuratore Roberto Calenda».
Se Totti fosse brasiliano, giocherebbe in nazionale?
«Credo proprio di sì. È un grande calciatore e una bella persona: l’età non conta quando sei così forte. Mi ha inserito nella sua Roma ideale e non me l’aspettavo: poteva dire Cafu, invece ha scelto me. La cosa mi ha fatto molto piacere».
Garcia lo conosceva prima di arrivare?
«Sì. Ci avevo litigato».
Prego?
«Nel 2011, durante Inter-Lille di Champions, si alzava dalla panchina e parlava, parlava. A un certo punto mi sono avvicinato e gli ho detto: "stai zitto!"».
Poi a Trigoria che allenatore ha scoperto?
«Un grande lavoratore, si incazza se le cose non vanno bene. Ha qualcosa di Mourinho nel modo di preparare le partite ma sono diversi. Ognuno ha le sue idee, le sue qualità».
Un difetto?
«Non dovrei dirlo (ride, ndr) ma lo faccio: quando giochiamo una partita la sera alle 20.45 ci fa svegliare alle 9 del mattino. Si potrebbe aspettare le 10, anche le 11, no?!».
Sveglia a parte, che rapporto ha con lui?
«Normale, come quello che ho avuto con tutti gli allenatori in passato. Mi chiedono di fare qualcosa in campo e io cerco di accontentarli. Niente di più, per me i veri "rapporti" sono solo con i familiari».
Ci spiega cosa è successo a Verona con Benatia?
«Ho visto i compagni fermi, addormentati e ho dovuto fare un recupero in difesa altrimenti prendevamo gol. Allora ho alzato un po’ la voce: bisogna urlare ogni tanto. Qualcuno se l’è presa, ma è finita lì. Cose di campo».
Prima del suo arrivo a Roma si diceva: "Maicon esce sempre la sera e beve".
«Anche quest’anno non sono rimasto sempre a casa, mica dobbiamo stare in chiesa! Ma ci sono dei momenti in cui si può uscire e altri no. A Roma c’è un bel gruppo di brasiliani e cerchiamo di stare insieme. Cose normali, quello che dice la gente non mi interessa».
Ne dicono un’altra su di lei: "dopo il Mondiale staccherà la spina".
«Lo so ed è un bene che lo pensino, così avrò una motivazione in più per dimostrare che non è così. Ora ho in testa solo il Brasile ma dopo le vacanze avrò ancora tanta voglia di giocare e vincere per la Roma. A proposito: se la società mi offrisse un nuovo contratto lo firmerei subito. Senza discutere. Mi piacerebbe molto chiudere la carriera qui».
Magari anche giocare nel nuovo stadio?
«Certo. Però dipende dai direttori: io aspetto solo che mi chiamino».
È sorpreso dalla grande stagione che avete fatto?
«No. Ho capito sin dal primo giorno di allenamento a Riscone che stava nascendo un grande gruppo. In tanti avevamo voglia di dimostrare qualcosa. Di me si pensava che fossi finito e posso capirlo, Stootman veniva da un campionato con poca visibilità, Ljajic e Benatia da squadre che non lottavano per il vertice. Poi a gennaio è arrivato Nainggolan: è un giocatore spettacolare».
Allora cosa vi è mancato per vincere?
«Abbiamo perso alcuni punti in casa e se vuoi lo scudetto non puoi permettertelo. La Juve non lo ha fatto e quindi ha meritato di arrivare prima al traguardo».
Ma la sua Inter del Triplete era più forte?
«Sì, non c’è paragone. In una sola estate è stata costruita la spina dorsale di quella formazione: Lucio, Thiago Motta, Sneijder ed Eto’o. Non sarebbe male se ora arrivasse gente di questo livello alla Roma».
Sta dicendo che c’è bisogno di rinforzi?
«La società vuole costruire una grandissima squadra e già quest’anno abbiamo dimostrato di essere forti. Ma non abbiamo vinto niente ed è bene ricordarlo: l’anno prossimo non possiamo accontentarci del secondo posto. La squadra c’è, la voglia di far bene pure, ma serve qualche grande acquisto per fare il salto di qualità».
Insomma, si è messo in testa di vincere lo scudetto?
«A me piace alzare le coppe e spero di farlo anche a Roma: questa città ha bisogno di una grande festa e io voglio esserci. I tifosi romanisti mi hanno impressionato: sono tornati in 30mila all’Open Day dopo aver perso la Coppa Italia in quel modo. Una cosa pazzesca».
Oltre alla Juve, la preoccupano altre avversarie?
«Devo dire che tornando in Italia ho trovato un livello del campionato un po’ basso. Prima tutti giocavano "alla morte", adesso non è così».
Esempi?
«L’Inter, per quanto mi riguarda, non esiste più dopo l’addio di Moratti. Adesso i nuovi proprietari vogliono cambiare tutto e non mi sorprende: nel calcio si dimentica in fretta. Io ad esempio uno come Milito io l’avrei tenuto a vita in società. Il Milan? Un casino, non si capisce niente. Un giorno va via uno, quello dopo un altro: devono darsi una sistemata. È una società che mi è sempre piaciuta molto, è brutto vederla ridotta così».
Del Napoli cosa pensa?
«Ha tanti bravi giocatori, se restano tutti e fa qualche buon acquisto rimarrà un’avversaria difficile da battere».
Le è mancato in questi anni il Brasile?
«No, meglio giocare in Europa e andare lì in vacanza. Però quando smetto torno a viverci: sto costruendo una grande villa nel paese di mia mamma. Dentro ci sarà anche un campo di calcetto per giocare con gli amici. Mi chiuderò là dentro e tutti si chiederanno: che fine ha fatto Maicon?».