08/05/2014 10:09
IL ROMANISTA (D. GALLI) - La Roma non ha bisogno che qualcuno la motivi dall’esterno. Ci ha già pensato da sola dopo i quattro episodici schiaffi di Catania e la strigliata di Garcia del giorno dopo. Però è utile scrivere, e ripetere come un mantra, perché Roma-Juventus non è mai "una" partita. Roma-Juventus è "la" partita.
Non c’è una sola ragione per considerarla speciale. Ce ne sono cento. Cento. Sì. Cento come i punti che la Juventus potrebbe centrare anche solo pareggiando a Roma domenica, perché adesso ha 96 punti e l’ultima di campionato la disputerà in casa col Cagliari, che allo Juventus Stadium giocherà con le infradito ai piedi, proprio come al San Paolo martedì. E cento punti - un primato storico - sarebbero un traguardo fastidioso. Cento.
Perché tra queste, tra le ragioni per definirla "la" partita, c’è però prima di tutto la Storia. Loro hanno sempre rappresentato l’ombra lunga del Palazzo, sono il gol annullato a Turone e quelli annullati a tutta Italia, sono il processo per doping, sono Calciopoli, sono tutto quello che noi non vorremmo essere mai anche se gli scudetti fossero 300 e non 30, perché noi non tifiamo una squadra in base alla convenienza, al blasone, ai titoli in bacheca. Cento.
Perché la Roma deve e vuole dimostrare che l’1-4 di Catania è stato figlio di una distrazione, di pigrizia mentale, di una totale (e colpevole, sia chiaro) estraniazione. Perché la Roma deve e vuole dimostrare che sul piano del gioco non ci sono i tre gol di differenza dell’andata e su quello dell’estetica non c’è partita, vinciamo facile. Basterebbero i colori: noi vestiamo quelli della luce, loro quelli dell’indistinto. Cento.
Perché domenica sarà un altro giorno del ringraziamento, perché Catania non è una ferita ma una semplice sbucciatura, un livido, un incidente di percorso in un campionato spettacolare che ha visto la Roma sgretolare il record di punti della propria storia. Sarà un ringraziamento reciproco. La squadra, dicono a Trigoria, farà il suo ingresso sul prato dell’Olimpico coi bimbi al seguito, con i suoi figli. E poi saluterà la gente romanista a lungo. Molto a lungo. Cento.
Perché dei sessantamila spettatori che verosimilmente saranno domenica all’Olimpico - a proposito, la Tevere è quasi esaurita - la fetta juventina sarà una fettona, si faranno sentire, saranno sparsi in tribuna. Giusto per carità, si godono un campionato vinto in anticipo. Ma proprio per questo sarebbe ancora più gustoso scrivere un’ultima pagina bella, di quelle che non lasciano il segno sulla classifica ma sul morale sì. Cento.
Perché tra i sessantamila ci saranno il presidente Pallotta (sbarcherà a Ciampino domani) e il gigante Strootman in tribuna, e ci sarà Destro in campo, fermato ingiustamente per quattro giornate - anzi, tre più una - dopo la moviola della manata ad Astori. Ci sarà anche Pjanic in campo, e per Miralem potrebbe essere l’ultima volta con la maglia della Roma, perché le vie del mercato sono infinite, con o senza il rinnovo. Cento.
Perché le immagini saranno trasmesse in tutti i continenti, perché Roma-Juventus non è solo un revival degli anni 80 ma una classica del mondo. Vincere sarebbe uno spot per questa società e per questi giocatori, un’altra vetrina, un passaggio sui network in una società governata dalla globalizzazione delle notizie. Cento.
Sono cento le ragioni, e seppure non ci si arriva in questo articolo (per esigenze di spazio...) ci si arriva col cuore, perché ogni romanista le proprie ragioni per battere la Juve ce le ha dentro, le coltiva nell’anima, ci cresce insieme. Ci cresce da bambino.