17/06/2014 10:03
IL ROMANISTA (M. IZZI) - Riesco ad arrivare al ricordo dello scudetto del 17 giugno 2001 per gradi, ripartendo dal pomeriggio del 10 giugno. Mi ero ammutinato di fronte alla richiesta dei miei amici: «Andiamo a San Giovanni, c’è il megaschermo, che festeggiamo insieme». Per lunga esperienza da tifoso romanista avevo ormai abbondantemente maturato un sano orrore per tutti i preparativi di feste: magliette celebrative, giri di campo con il sindaco e la banda. Restai tappato dentro casa, chiudendo persino la radio. Un segnale sinistro, ad un certo punto, iniziò a farmi preoccupare. La bandiera dello scudetto del 1983, quella enorme con la foto che ritrae tutta la rosa, che avevo esposto in balcone, con una raffica di vento si staccò dall’asta e volo via, andandosi ad incastrare nell’altra finestra del mio appartamento. Non avevo neanche finito di recuperarla che sentii un urlo disumano, isolato... era il pareggio del Napoli. Le brutte notizie hanno un timbro inconfondibile, decisi di accendere la radio ed ebbi la scontata conferma. Iniziò così una settimana tremenda, ben alimentata, devo dire, dai giornali. Ricordo solo un titolo e per carità di patria taccio la testata: «Dramma Roma».
"Puttana Eva – pensai dentro di me – ma tanto lo vinciamo lo stesso". Il mercoledì rinverdii la mia novena di improperi quando a Via Sannio vidi le bandiere del terzo scudetto. Non oso scrivere quello che pensai, ma non fui particolarmente felice dell’ idea. A rendere meno cupe le ore infinite di quella vigilia, arrivò la notizia della revoca della giornata di squalifica a Candela, ma devo dire che Tredici anni fa all’Olimpico la Roma battendo 3-1 il Parma vinceva il terzo tricolore della sua storia. Il ricordo di quel giorno nel racconto di Massimo Izzi, da quella trasferta a Napoli a una telefonata surreale per sapere se era vero psicologicamente ebbe un effetto fondamentale la sortita di Totti che partecipò in Campidoglio a un’iniziativa e ai microfoni di radio e televisioni disse quello che l’ambiente romanista aveva bisogno di ascoltare: «Tranquilli, vinciamo». A dire il vero il sottoscritto tanto tranquillo non lo era davvero. Trentatré giornate in testa alla classifica con un vantaggio a tratti mostruoso, per ritrovarsi all’ultimo metro della volata con la solita Juventus incollata alle terga. Della mattina del 17 giugno ricordo soprattutto uno striscione meraviglioso, enorme, esposto a Piazza Santa Maria Liberatrice. Diceva: «La Roma siamo noi!». Nei giorni e nelle settimane a venire di striscioni, anche molto belli ne ho visti a decine. Nessuno mi ha colpito e commosso quanto quello. Era allo stesso modo un presagio di vittoria, meglio, la firma su un presagio di vittoria e la reazione splendida al tentativo patetico dei “4” (ma proprio “4”) tifosi della Lazio che l’anno precedente avevano cercato di festeggiare il proprio scudetto a Piazza Testaccio.C’è poi lo stadio, per una questione che sarebbe lungo e inutile spiegare, arrivai in distinti Nord a 20’ dall’inizio della partita. Scendendo a Piazza Mancini mi ero ritrovato davanti un ragazzo completamente bardato di biancoceleste... maglia ufficiale, pantaloncini, berretto... con una voce metallica disse: «Tanto lo perdete».
Che ci crediate o no, nessuno gli torse un capello, nessuno lo apostrofò neanche, forse per lo stesso motivo per cui gli indiani Comanche ritenevano sacri ed intoccabili i folli. Ci furono poi i 90’ che nella mia memoria sono indimenticabili. Ricordo tutto, a partire dal mare impressionante di bandiere, non avrei mai creduto che potessero entrarne tante in uno stadio. Le facce delle persone s’intuivano solamente in quell’ondeggiare frenetico. Arrivò il primo gol di Totti quindi Montella e Batistuta, poi il terrore sovraumano che provai dopo la prima invasione. Ce ne fu una seconda, quella più devastante e vidi il mio vicino prendere a cazzotti la ringhiera di ferro alla nostra destra. Quando arrivò la fine non me ne resi conto. Continuavo a chiedere: «Ma è finita? Ha fischiato la fine? E’ un’invasione?». Telefonai a casa per chiedere notizie, mio padre fu drastico: «Aho, ma che te sei bevuto er cervello? Ma non stai allo stadio? Abbiamo vinto lo scudetto!». Una delle gioie più grandi e intense dell’AS Roma, un successo che risplende come un sole nella nostra storia.