Il voto di Agnelli tra liti e tensioni

12/08/2014 10:16

LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Ha votato per l’ultima volta intorno alle 18, consapevole che quel terzo voto di dissenso non sarebbe bastato a evitare l’inevitabile. Così, appena uscito dalla cabina, ha lasciato le sale dell’Hilton Airport di Fiumicino risparmiandosi almeno l’incoronazione del nuovo re. Se l’elezione di Carlo Tavecchio lascia uno sconfitto sul campo di battaglia, è senza dubbio Andrea Agnelli, il primo a manifestare aperto dissenso — con ampio anticipo rispetto alle «banane » che hanno poi convinto larga parte del movimento calcistico internazionale — alla candidatura di un presidente che aveva definito «impresentabile» già nel discorso dell’8 luglio alla Camera.

Anche senza assistere alle celebrazioni per la nomina però è stata comunque una giornata da dimenticare per il leader — insieme al romanista Pallotta — del movimento di opposizione al nuovo regime. E non certo per sue responsabilità. Il primo a evocarlo è l’ex presidente Abete: «Si candidi, certa gente, invece di sputare veleno», dice senza nominarlo. Ma il nome di Agnelli nelle sale dell’intasatissimo albergo inizia a circolare quando lui deve ancora raggiungere l’Italia, frenato da un guasto al volo che, partito da Sydney, prima di giungere a Roma lo ha costretto a uno scalo forzato a Singapore.

Non sono nemmeno le 11 quando il lider maximo del in un’animata discussione con il romanista , evoca il suo nome: «Agnelli si è presentato in ginocchio chiedendomi un posto in Consiglio federale. Ma non siamo coglioni, e fidati che te lo dice ». Il giallorosso gli ricorda come il posto in consiglio Andrea l’avesse rifiutato, ma torna all’attacco: «Se fosse stato per Agnelli stavamo ancora a parlare della mutualità al 10 per cento. Voi non avete offerto nulla»L’ad della Roma , evidentemente chiamato in causa, ribatte offrendo il punto di vista condiviso con la : «Noi non siamo aggregatori di voti, noi avanziamo proposte».

Arrivato appena in tempo per la prima convocazione dopo un transito su Linate, cancellando in extremis l’abilitazione del “supplente” Marotta per votare di persona, Agnelli nervoso («Tutto bene? Non proprio...») decide di non lasciare lo sgarbo impunito: «Non permetterti più di parlare di me», ringhia all’orecchio di sfilandogli accanto nell’affollato corridoio tra il Salone dei Cesari che ospita l’Assemblea e le cabine elettorali. «Sei tu che non devi nominarmi più», replica il genoano.

La cronaca della discussione infiamma i social, e l’alterco si estende al padrino dell’elezione di Tavecchio, Claudio Lotito. «Andre’, diglielo che non abbiamo litigato», prova a giurare il presidente laziale, spalleggiato dal collega De Laurentiis: «È Agnelli che litiga con tutti». Tregua, ma solo a parole. Solo pochi istanti prima lo stesso Lotito, con gli amici, parlava così del bianconero e della Roma: «Al Cesena hanno detto: siamo 10 contro Tavecchio, firmate qua, ci mancate solo voi. E non era vero. Si erano impegnati, dicendo che se non fossero arrivati a 10 il documento sarebbe stato carta straccia, e invece lo hanno diffuso con 9 firme. Ma c’hanno tutti i mezzi di comunicazione ». Alle solite: guai ai vinti.