13/08/2014 09:51
IL TEMPO (L. SALOMONE) - C e l’ha fatta ancora una volta, il suo uomo all’Avana giocava a traversone, non ne azzeccava una ma lui se l’è «caricato sulle spalle» come ha confessato al termime della terza e decisiva votazione. Claudio Lotito ha fatto bingo ancora. L’uomo più odiato dai laziali, «nemo profeta in patria», che si pavoneggia quasi fosse un vanto non essere amato dai propri tifosi. Risolto con la Lega il problema dei diritti televisivi per il triennio 2015-2018 dopo una lunga trattativa, si è concentrato sull’elezione di Tavecchio e ha mandato la palla in buca. Del resto prima delle uscite infelici, diciotto presidenti compresi i moralisti Della Valle e Cairo, lo avevano votato.
Non sono bastate le banane, le donne handicappate e un paragone ridicolo con l’assassino di Kennedy, a fermare la macchina da guerra lotitiana. Quello che parla con cinque telefonini insieme e riesce a fare contenti tutti anche i colleghi come De Laurentiis che due anni fa gli aveva rifilato uno schiaffo durante una cena delle beffe. A questo punto la domanda sorge spontanea: perché sta antipatico alla maggioranza dei presidenti, perfino Macalli della Lega Pro usa toni aspri quando si rivolge a lui, per non parlare di Malagò, il capo dei arbitri Nicchi se può gli manda sempre fischietti poco graditi, eppure quando c’è da votare, la maggioranza sposa le sue idee? Semplice: o è un incantatore di serpenti oppure non si spiega come faccia a coagulare interessi più disparati.
Persino l’ultimo arrivato, il presidente Ferrero della Samp detto «Viperetta» (un nome, una garanzia), ha incensato il suo protagonismo: «Se c’è un funerale, Lotito vuole fare il morto», ha detto scatenando gli scongiuri del numero uno della Lazio. Continua a vincere tanto nei palazzi del potere ed è ormai lanciato verso un’onorata carriera politica ma non riesce a trovare consensi tra i tifosi biancocelesti votati alla diserzione ad oltranza pur di non vederlo più. Lui cita Dante («non ti curar di loro ma guarda e passa»), si appella al suo latino inimitabile e va avanti. Senza peli sullo stomaco, se ha un obiettivo lo insegue con tutto se stesso e alla fine la «ciccia» la porta a casa. Adesso lo odiano a tal punto che vogliono obbligare Tavecchio a non dargli la carica di vicepresidente federale: forse ci riusciranno, ma non cambierà il suo atteggiamento.
Magari toccherà a «dimmi Claudio» Beretta oppure a qualche altro: non sarà un problema, Lotito è già pronto a ripartire per la nuova battaglia e nell’ombra manovrerà i fili del circus calciofilo. Il nuovo Marchese del Grillo, quello che parla con i dirimpettai con la certezza «io so io, voi non siete un caz...», l’uomo più realista del re, vuole ribaltare il mondo del pallone a modo suo. Con il solito grande difetto: sa parlare perfettamente ai cervelli delle persone, non al cuore. E questo limite i laziali lo conoscono molto bene.