11/08/2014 10:52
LA REPUBBLICA (M. CROSETTI) - Basta ipocrisie: oggi il governo del calcio avrà il suo presidente perfetto. Carlo Tavecchio è infatti il nome che meglio rappresenta un potere decrepito e raggrumato, avvolto su se stesso come il polpo allo scoglio. È l’uomo che più di ogni altro s’identifica con l’unico vero programma della maggioranza che lo sostiene, cioè non cambiare nulla per garantirsi il controllo totale di Federcalcio, Leghe, nazionale, diritti televisivi, riforma dei campionati, prebende di sottobosco e sottogoverno, rapporti più o meno leciti con gli ultrà.
Un pupazzo nelle mani di un buon numero di ventriloqui, sperando almeno che facendolo muovere e parlare a comando, costoro gli chiudano la bocca nel momento delle battute, una più infelice dell’altra. Sia chiaro che il problema, adesso, non sono le banane. Il problema è il sistema, il mondo che ha scelto Tavecchio prima ancora che lui presentasse un programma: non ce n’era bisogno, il programma lo fanno gli elettori, il programma sono gli elettori.
Nonostante ci fossero all’opposizione nomi pesanti come Roma e Juventus, prima e seconda in classifica, il gruppo si è sfarinato nel momento del bisogno (Cesena, Atalanta, Verona), che da noi diventa quasi sempre il momento della convenienza, dell’ultimo rilancio al mercato delle vacche, forse dell’estrema cambiale per non cambiare. Complimenti all’appoggio incondizionato del Milan e al silenzio grottesco dell’Inter indonesiana. Nell’anno più drammatico del nostro calcio (un altro morto da stadio, curve chiuse per razzismo, mondiale disastroso), tristi settimane da operetta hanno prodotto il nulla, cioè Carlo Tavecchio, un nulla che però fa comodo a tanti, mentre all’estero ridono di noi. C’è coerenza di sistema, in tutto questo.
Ormai in Europa contiamo meno di Grecia e Portogallo, il mercato turco - senza offesa - ha più fascino del nostro, il Coni deve assistere in silenzio allo scempio, il governo sta muto altrimenti arriva la squalifica internazionale per ingerenza politica. Però, ragazzi, volete davvero che il latinista Lotito diventi l’architetto del nuovo calcio italiano? Come avete fatto a distrarvi tanto? Oppure, invece, si torna al concetto iniziale: sono loro stasera i migliori che abbiamo, come cantava De Andrè. Perché non abbiamo voglia di cercarne davvero, di migliori. Perché sarebbe troppo pericoloso un presidente federale forte, uno che sappia anche dire no quando occorre, anche se avere i numeri per vincere un’elezione è una cosa, governare un’altra. E chi se ne importa se calciatori e allenatori sono contro il pupazzo nelle mani del ventriloquo: come sostiene Lotito, i giocatori pensino ai milioni che guadagnano e stiano zitti. Sono ignoranti, no? Questo l’ha fatto capire il presidente del Coni. Molto meglio un raffinato umanista come Carlo Tavecchio, il presidente perfetto.