Re Tavecchio

12/08/2014 10:21

GASPORT (M. IARIA, V. PICCIONI) - Altro che successo in volata. Carlo Tavecchio ha vinto per distacco. E che distacco: 63,63%(310,12 voti) contro il 33,95 (165,47) di Demetrio Albertini e il 2,42 di schede bianche allo scrutinio numero 3, quello in cui bastava la maggioranza assoluta per diventare presidente della Federcalcio. L’incoronazione è avvenuta all’hotel Hilton di Fiumicino, nella stessa sala della battuta su Optì Poba che «mangia le banane, viene qui e diventa titolare della Lazio». Stavolta, per fortuna, niente frasi razziste, anzi un magone grande così al momento della salita sul podio, al limite delle lacrime, con poche parole scritte dal suo ufficio stampa per sua stessa ammissione perché lui ammette di «essere ruvido e poco glamour nel parlare». Fino al punto di rinunciare alla tradizionale conferenza stampa del presidente eletto per evitare altri capitomboli.

Lotito e Abodi I numeri dicono che è stato un trionfo. Capace di dribblare la ribellione del web, le proteste dell’intero partito di maggioranza relativa, i titoli dei giornali non solo italiani, le domande di chi si chiedeva come avrebbe potuto (e come potrà, a questo punto) un presidente della Federcalcio parlare di lotta al razzismo e di curve squalificate dopo una frase così. Tutto ha funzionato nella macchina elettorale del favorito. Claudio Lotito è pronto per uno spot di una grande compagnia telefonica, vista la montagna di chiamate effettuate. Il presidente della Lazio ha fatto lo spin doctor e il distributore di volantini della campagna elettorale di Tavecchio. Andrea Abodi è stato invece la colomba e la volpe, con un cocktail di discorsi distensivi e colloqui chirurgici per convincere i dubbiosi a scegliere la sponda tavecchiana. Studierà da presidente del futuro in vista delle prossime elezioni del 2016?

Arbitri a sorpresa Forse c’è stata solo una sbandata nel percorso. Quando, a sorpresa, gli arbitri sono saliti sul carro del perdente anziché del vincitore, tradendo un’abitudine molto italiana raccontata dalla penna di Flaiano. «L’Aia ha detto il suo capo Marcello Nicchi appoggerà Albertini perché vediamo in lui una persona misurata, che rispetta i sentimenti di chi va in campo insieme ad allenatori e calciatori». Una frase seguita da un «Forza Tavecchio!» in sala quasi per ridurre subito l’effetto del fischio controcorrente. Quel 2 per cento ha spostato poco, ma ha costruito un’altra lettura della sfida: il «campo» e i suoi protagonisti contro i businessmen del calcio.

Numeri Verso l’ora di pranzo, fra zuffe verbali fra presidenti e persino una voce, non confermata, su una presunta nuova gaffe del presidente nel chiuso dell’assemblea di Lega Pro, Antonio Matarrese, l’ex presidente sostenitore della prima ora di Tavecchio, ha provato a bluffare: «Con quanto vincerà? Con il 51 per cento deivoti». Si era invece capito che l’urna stava cucinando ben altro responso. In un’elezione per il ruolo di sindaco, si potrebbe dire che Tavecchio ha vinto al centro storico e nei quartieri più periferici. La scomposizione del voto delle sette componenti non è stata ufficializzata, ma il vincitore ha fatto gol pure in Serie A. 13 a 7 al primo colpo (ma i No Tav parlano di 128), quello in cui Tavecchio aveva raggiunto il 60,20%. Per Albertini avrebbero votato in cinque: , Roma, Empoli, Torino e Cagliari con e Sassuolo a preferire la scheda bianca. Una decriptazione che cozza però con le arrabbiature del neopresidente della Samp. «Chi è che ha detto che ho votato Tavecchio? Non è vero!», ha tuonato Ferrero. Probabilmente il risultato è diventato ancora più netto nelle due votazioni successive con Galliani che si è spinto a immaginare, magari esagerando, un 164 allo scrutinio finale. Sono due risultati diversi, la distanza fra una nettissima vittoria ai punti e un k.o., ma l’operazione del documento dei nove è fallita e su questo non ci sono dubbi. Quali interessi, patti, promesse abbiano poi contribuito a scrivere questo copione, in un’altalena di voltafaccia, è un’altra storia.

Abete contro Malagò La giornata era stata aperta da un discorso del presidente federale uscente, capace di raccogliere due standing ovation. Giancarlo Abete è stato più volte in questi sette anni un avversario (spesso sconfitto) degli egoismi dei club e delle corporazioni del pallone,oggi prontissime a idolatrarlo nel momento dei saluti. Ma stavolta la bussola del suo discorso era rivolta soprattutto alla polemica (pur senza mai nominarlo) con Giovanni Malagò. «Spero che la Figc abbia un presidente, non un commissario. Non ho mai creduto agli unti , non serve chi non ha dimestichezza con i voleri che vengono dalla base». Per poi perfezionare la stoccata così: «Se dovessimo pensare che per governare serva un largo consenso anche il Coni doveva essere commissariato ». Abete ha poi contestato la lettura tutta negativa di questi anni di calcio italiano: «I nostri dati dal 2007 al 2014 sono nettamente superiori rispetto a quelli devastanti del sistema Paese».

Primi al mondo... Poco prima Gianni Infantino, il segretario generale dell’Uefa, aveva portato un saluto poco formale: «Bisogna passare dalle parole ai fatti, sono tante le cose da fare. La Figc deve avere l’ambizione di essere la prima al mondo». Visto da qui, da Fiumicino, quel traguardo sembra davvero lontanissimo.