03/09/2014 09:48
IL MESSAGGERO - Federico Balzaretti, pensieri e parole. «Il mio problema risale ormai a 10 mesi fa, alla fine di un allenamento dopo la partita col Torino. Un dolore davanti, sul pube: non avendo mai avuto problemi, giocai con il Sassuolo ma dopo la partita non avevo quasi più la forza di camminare. Abbiamo trattato questo problema come fosse una pubalgia ma non lo era. Abbiamo provato a risolverlo andando in America, ma l’operazione non ha dato i risultati sperati. Così siamo andati a Monaco ma neanche qui è andata bene e infine abbiamo deciso l’ultimo intervento che serviva soprattutto per sentire meno dolore. Questo problema non mi permette di correre, in palestra riesco a fare qualcosa ma in campo quando provo a calciare o a correre non riesco a reggere i ritmi e l’infiammazione viene fuori in maniera importante. Dopo il ritiro ho visto che il problema era persistente e ho fatto degli esami che hanno evidenziato un peggioramento del problema: purtroppo devo fare ancora dei mesi di terapia. Non so per quanto tempo dovrò farla. Nulla che possa compromettere la mia vita futura. Io mi sento ancora un calciatore, ce la metterò tutta per tornare. Spero di tornare a giocare perché è la cosa che più amo. Mi sento in colpa con i miei compagni… La Roma è una grandissima famiglia. Sto vivendo un momento davvero difficile, anche a livello psicologico. Purtroppo, a differenza di altre patologie, non si sa quando e se andrà via; non si sa se quello che si fa funzionerà. Dentro di me ho tantissima fede, ce la metterò tutta. Il messaggio che volevo mandare ai tifosi è che non mollo e non voglio mollare. Quello che manca più di tutto è la quotidianità del campo. Mi manca più del giocare la domenica. Stipendio ridotto? Per me la società è libera di fare ciò che vuole, ha carta bianca. Non è questo il nodo centrale della questione: il nodo centrale sono i sentimenti, quello per cui uno vive. La società è una famiglia e vede che ce la sto mettendo tutta. Pesa le persone e non le tratta solo come calciatori: ecco perché giocatori vogliono venire qua. Credo che una famiglia, come è la Roma, si vede proprio nei momenti in cui un ragazzo non sta bene. Coccolare uno che fa cinque gol a partita è facile, farlo con chi è in difficoltà è più duro. Qualsiasi cosa mi chiedono, farò».