01/09/2014 09:54
IL MESSAGGERO (A. ANGELONI) - Più che nei piedi, Mire il calcio ce l’ha nella testa. A volte gli basta un minimo spostamento del bacino per creare lo spazio: gli avversari da una parte, i suoi compagni dall’altra. Della Roma, Pjanic, è il pensiero. Qualcuno faticava a capirlo, adesso invece è tutto chiaro. Testa alta, idee lucide, una condizione fisica eccellente e tanta voglia di vincere. Questo è oggi Pjanic, e questo oggi fa la differenza nella Roma. La quarta stagione in giallorosso è quella della consacrazione, quella dell’eccellenza: il sogno di vincere lo scudetto, la Champions da onorare dopo l’esperienza con il Lione.
ESCALATION GIALLOROSSA È arrivato con Luis Enrique e quell’anno non è andato benissimo per nessuno, tanto meno per lui; con Zeman non ne parliamo nemmeno, si diceva non potesse stare troppo vicino a Totti e non andava bene per il 4-3-3. Con Garcia invece gioca al fianco del capitano e lo schema - almeno se si considera la passata stagione - è lo stesso del boemo. Il tecnico francese ha voluto ricostruire partendo da lui, dalla sua intelligenza tattica e quella di un ragazzo, costretto a fare l’uomo da quando è piccolo, per la guerra in Bosnia dalla quale è fuggito con la famiglia, per la vita vissuta prima in Lussemburgo e poi in Francia. Garcia ha lottato per trattenerlo, ha costretto la società a rinnovargli il contratto (in scadenza), senza cedere a lusinghe che arrivavano da più parti, Psg e Barcellona su tutti. Lui aveva la forza per trattare a rialzo, il suo amico Benatia invece (con un contratto lungo) non ce l’ha fatta e ha preferito prendere certe cifre (i famosi trenta denari di Giuda che la Sud gli ha voluto rinfacciare durante Roma-Fiorentina) altrove.
IL RITORNO A TREQUARTI Pjanic, che lo scorso anno ha agito metà campo insieme con Strootman e De Rossi, quest’anno ha ricominciato come trequartista nel 4-2-3-1 proposto da Garcia nella prima di campionato. Da regista basso a regista alto, il risultato non cambia. Mire resta al centro del gioco e la sua posizione non è mai da Calcio Balilla. Mire gioca a tutto campo, scambiando proprio con Totti il ruolo di regista offensivo: quando Francesco fa il centravanti, lui si alza; quando Totti si abbassa, Mire va a prendersi il pallone da De Rossi. Intelligenza, appunto. Contro la Fiorentina Pjanic è stato il giocatore che ha toccato più palloni, 93, e ha creato più occasioni da gol, 5. Il suo dribbling è sempre nello stretto, quasi mai in velocità. Ha effettuato 70 passaggi e ne ha sbagliati 7, ha perso 15 palloni e ne ha recuperati 5. Non male.
IL GOL NON È UN VIZIO Di gol non ne ha mai fatti tantissimi, 6 al massimo. Sei in un anno a Lione, 2009/2010, 6 lo scorso anno nella Roma. Per il resto, dai tre in giù. Tre pure nei primi due anni in giallorosso. Per uno con le sue doti balistiche (vedi gol contro la Lazio nell’anno di Zeman, contro il Verona nella stagione passata e nell’amichevole contro il Manchester a luglio scorso), e con la sua capacità di calciare le punizioni, di reti ne segna poche. Belle, senza dubbio, ma poche. Più efficace, Mire, nell’ultimo passaggio.