01/09/2014 10:05
IL MESSAGGERO (U. TRANI) - Dall’Olimpico, dopo la gara con la Fiorentina, il segnale arriva forte e chiaro. Indirizzato alle rivali del torneo, per prima la Juve campione. La Roma è sempre la stessa. Nell’ambizione e nel gioco. Anzi, probabilmente è migliore. Perché tanti possibili titolari, a cominciare da Strootman che avrà la convalescenza più lunga, sono rimasti a guardare. In tribuna. Da Maicon a Castan e Holebas. O in panchina, come Destro che, cercato dal Chelsea e da altri club stranieri, è comunque l’unico centravanti di ruolo. Rudi Garcia, bisogna riconoscerglielo, è l’artefice principale dell’impronta lasciata già alla prima di campionato. «Grandioso» per il presidente Pallotta, il francese riparte dalla sua idea di calcio. Propositivo, equilibrato e comunque spettacolare. Il tecnico giallorosso non vuole fare paragoni con l’anno scorso. «Questa è un’altra storia. E un’altra squadra». Verissimo. Perché l’unica grande differenza con la stagione scorsa è rappresentata dalla restaurazione della rosa. Numericamente e qualitativamente più completa. Per non sfigurare in Champions e per ridurre il gap dalla Juve. Per il prestigio e per lo scudetto. Per esser comunque competitiva.
TRACCIA CONOSCIUTA Come nelle esibizioni più convincenti del campionato passato, la Roma ha recitato il suo copione a memoria. E’ il dato più rassicurante, al via della nuova annata. Perché, in partenza, Garcia ha schierato quattro nuovi. Di questi, 3 in difesa (1 dei quali appena sbarcato a Trigoria). L’esempio è proprio quest’ultimo: Manolas è stato bravo, arrendendosi solo ai crampi e mai a Babacar e a Gomez, nella lettura di ogni situazione di gioco. Se il greco ha il merito di essersi presentato con personalità e spavalderia, è evidente che lo spartito scelto dal francese risulti efficace. In campo il comportamento è da squadra, come vorrebbero tutti gli allenatori. I singoli partecipano a 360 gradi. Iturbe, anche lui all’esordio in A con la nuova maglia, si sforza a rientrare per coprire Torosidis e Cole, quando i terzini sono fuori posizione. Davanti Pjanic si alterna con Totti sulla fascia: per non dare riferimenti agli avversari.
MATURITÀ NELLA GESTIONE Il sistema di gioco di sabato sera, il 4-2-3-1 che Rudi anche nel girone di ritorno del campionato scorso ha usato spesso dopo l’uscita di scena di Strootman, dà lo stesso risultato del 4-3-3. Più che l’assetto alternativo ora è l’arma in più. I ruoli, anche a centrocampo, sono intercambiabili. Ne guadagna il possesso palla che, come ha riconosciuto lo stesso francese, è stato fondamentale nel primo tempo con la Fiorentina. Ricominciando a giocare il pallone anche dalla difesa, con De Rossi basso e Manola e Astori a loro agio, la Roma non ha perso mai il controllo della situazione. E del match. Così diminuiscono i rischi. Anche perché, fino a quando il fiato ha assistito i giallorossi, il pressing alto con Pjanic, Totti, Gervinho, Iturbe, De Rossi e Nainggolan, a volte con gli stessi Torosidis e Cole, ha costretto la Fiorentina nella propria metà campo. E ha cancellato ogni possibilità di subire contropiede.
PANCHINA D’ORO Piace pure l’altra faccia della Roma. De Sanctis fa due parate decisive nella ripresa. Ma una è su punizione (aiutato dalla traversa). La chance lasciata, insomma, ai rivali è solo una. Gervinho ne ha invece due per chiudere il match (e sfrutta poi la terza a fine recupero). Sempre ripartendo. Perché cambia l’atteggiamento, con il baricento più basso, ma non l’efficacia. Modifica in corsa, quando le enrgie diminuiscono. E qui incidono i cambi di Garcia: Florenzi, Keita e Ljajic. Gente di spessore.