05/09/2014 10:31
CORSERA (E. MENICUCCI) - Anche se alla fine c’è stato il fiocco azzurro, è stato comunque un parto travagliato. Condito, anche, dall’immancabile colpo di scena. Mercoledì notte, via del Turismo, assessorato all’Urbanistica di Roma Capitale, due passi da Palombini, salotto buono dell’Eur. Lì dentro, già da qualche ora, si stanno decidendo le sorti dello stadio giallorosso. Intorno al tavolino, oltre all’assessore e «padrone di casa» Giovanni Caudo, ci sono il dirigente giallorosso Mark Pannes, il costruttore Luca Parnasi, i loro rispettivi avvocati. E, in rappresentanza del consiglio comunale, mezzo Pd capitolino: il coordinatore della maggioranza Fabrizio Panecaldo, il presidente dell’Assemblea Mirko Coratti, i presidenti di commissione Antonio Stampete (Urbanistica) e Pierpaolo Pedetti (Patrimonio). È la notte dei «lunghi coltelli»: quella in cui, verso le undici di sera, il banco rischia davvero di saltare. O meglio, per almeno venti minuti salta veramente. Succede quando Pannes e Parnasi, all’ennesima obiezione dei consiglieri, sbottano: «Basta, ce ne andiamo». I due abbandonano la sala, si confrontano, parlano con l’America: con James Pallotta, da una parte, e con gli uomini della Goldman Sachs (che finanzia l’intervento) dall’altra. Alla fine, risalgono.
E, a quel punto, si continua. Il nodo, decisivo, era quello della cosiddetta «clausola rescissoria» da 160 milioni circa (qualcosa in più, ad essere precisi) che il Comune voleva per vincolare lo stadio alla squadra: se Pallotta vende l’impianto, decadono i benefici della legge sugli stadi, e a quel punto la proprietà deve pagare il contributo straordinario previsto per tutti gli interventi urbanistici. Per Pannes è una condizione inaccettabile: «Non vogliamo penali, neppure ipoteche», ribatte. E, sempre in inglese (la maggior parte dei presenti ha dovuto farsi tradurre dall’interprete...), il dirigente ha insistito: «Abbiamo fatto decine di stadi in giro per il mondo, solo qua ci vengono fatte queste obiezioni sulla proprietà». I consiglieri hanno citato il caso dello Juventus stadium, ma l’americano conosceva bene quel dossier ed ha ribattuto colpo su colpo. Ci sono stati momenti di tensione. Poi, pian piano, Caudo e Coratti sono riusciti a smussare gli angoli. Spiegando, soprattutto, che non si tratta né di penali, né di ipoteche, e che quella cifra non sarebbe stata riportata in nessun documento ufficiale. E, a quel punto, la notte dei lunghi coltelli è sfumata. Alla fine, tramezzini per tutti.