Roma, bastano 13’ per riprendere la Juve. È subito corsa a due

22/09/2014 10:33

LA REPUBBLICA (E. SISTI) - Tre indizi e tre vittorie (a testa) fanno una prova. Roma e . “Ancora tu!”, è la canzone di Battisti che rimbalza da Vinovo a Trigoria. ha una squadra meno incline a stancarsi, difficilmente la vedremo vittima del proprio entusiasmo. Allegri non ha minimamente alterato la “power unit” bianconera, l’efficacia del rapporto telaio/motore del gruppo . Non solo conferme, addirittura progressi. E allora ecco perché Roma e sono già in fuga, simili e diverse. Hanno già una partita di vantaggio su tutti. Ai magici scambi fra Tevez e Pogba, rispondono Gervinho, e che davanti a Zeman confezionano una delle azioni più zemaniane che la scienza del calcio può avere archiviato alla voce “effetto spettacolare di una concezione offensiva e corale”. Dopo un’ampia triangolazione, il finalizzatore entra in porta col pallone (identico il gol di Schürrle ieri contro il ). Calcio che prima allarga il campo sino a renderlo indifendibile e poi lo riduce alla cruna di un ago: passano solo quelli che sanno, che vedono in anticipo, che si muovono prima. Quattro vittorie per ciascuna, inclusa, dieci gol fatti e uno subito la Roma, sei gol fatti e zero subiti la . I bianconeri dipendono molto da Tevez. Confermando la predisposizione della passata stagione, i giallorossi hanno già mandato in rete sei giocatori. Recondite armonie di bellezze diverse. Ieri c’è mancato poco che alla Roma non occorresse neppure scendere in campo per superare il povero Cagliari, la squadra di Zeman meno zemaniana di tutti i tempi, incapace non soltanto di imporre una forma di gioco conosciuta su questo pianeta ma anche di effettuare uno straccio di movimento collettivo (a parte l’inutile e isterica volontà di ). Mentre il Cagliari, come ha ammesso Zeman, era paralizzato dal “terrore provocato dalla Roma”, e in questa condizione assai poco consigliata per giocare a calcio dava il peggio di sé (si spera), ai giallorossi s’è dipanato un pomeriggio che non avrebbero mai sperato di vivere: dieci minuti per giustificarne novanta, con almeno sessanta di tutto riposo.

La frenesia del calendario obbliga forzatamente a considerare delle vere e proprie benedizioni partite come questa, aperte e chiuse in un battito d’ali, due gol a freddo, nell’umido irrespirabile di una giornata afosa, nello spazio di tre minuti. Tutto il resto è stato un teatrale aspettare, di potersi ufficialmente dedicare già al Parma di mercoledì, senza commettere errori: un aspettare d’insieme condito da qualche siparietto (la nonna di , la cattiva giornata di , i finti capelli di Gervinho che stanno per volare via e lui che forse per un attimo vorrebbe sparire dal campo per la vergogna, con successiva, inevitabile foto su ). Quando era appena arrivato all’ a Londra scherzavano: “Volete scoprire la “weakness” , la debolezza, di Gervinho? Andatelo a guardare sotto la doccia…!”. Ma siccome non è Sansone, a Gervinho i capelli non servono. Per due volte ritrovatosi al centro, prima da trequartista, poi da ultimo uomo, è stato l’ivoriano a decidere che il pomeriggio agonistico della Roma dovesse durare meno di un quarto d’ora. Suo il passaggio illuminante per che crosserà basso per pescare dall’altra parte (11’). Suo il movimento a vanificare il fuorigioco dei sardi per generare il rimpallo che regalerà a la palla del 2-0. Erano passati appena tredici minuti. E poi che è successo? Niente.