28/09/2014 10:31
CORSERA (L. VALDISERRI) - Monsieur 100 punti (in 43 partite) scherza a fine gara: «Questo è un gruppo eccezionle, vorrei provare la gioia di vincere qualcosa insieme a loro. Adesso, però, vado in ospedale a fare una radiografia». Rudi Garcia è stato stritolato da Mattia Destro dopo l’incredibile gol del 2-0, con un tiro da circa 40 metri. Un’esultanza esplosiva, che dice molto su cosa è diventata la Roma sotto la guida dell’allenatore francese. Destro, fin lì, era stato il meno convincente contro il bunker di Mandorlini, che aveva piazzato sempre 9 uomini dietro la linea del pallone quando il possesso era tra i piedi dei giallorossi. Il centravanti aveva sbagliato un gol di testa (bel cross di Maicon) e uno di piede (zingarata di Gervinho) ma Garcia non ha cambiato lui. Scelta tattica perché doveva giocare dentro l’area intasata, ma soprattutto scelta psicologica. La Roma, che continua il braccio di ferro con la Juventus, in attesa dello scontro diretto del 5 ottobre, è questa: un gruppo solido, capace di portare il peso di 8 infortunati (Balzaretti, Strootman, Iturbe, De Rossi, Castan, Astori, Uçan e Borriello) e ormai abbastanza matura da poter vincere le gare in pochi minuti (Cska, Cagliari) oppure con la necessaria pazienza (Parma, Verona).
Ci sono state, in passato, edizioni della Roma spettacolari come questa e forse anche di più — con Spalletti e Eriksson - ma per trovarne una altretanto massiccia bisogna risalire a quella dello scudetto 2001, allenata da Fabio Capello. Quella aveva Batistuta e un giovane Totti. Questa ha Totti che ha compiuto 38 anni ieri in campo e una «rosa» ancora più ricca, almeno tenendo conto del livello del campionato italiano. Manolas ha già cancellato il ricordo di Benatia, Keita sta dimostrando perché era l’uomo di fiducia di Guardiola al Barcellona. La differenza, però, la fa soprattutto il fattore umano e in questo senso Garcia ha pochi rivali: ha ridato a Maicon l’orgoglio di poter andare a Manchester, dove l’avevano trattato come un rifiuto, a testa altissima; ha recuperato Ljajic, anche ieri bravo come a Parma, da una situazione compromessa con quelli che pensano di essere allenatori e sono, al massimo, spettatori del calcio; ha «inventato» due volte Gervinho ad altissimi livelli; sa gestire al meglio tanti talentuosi che vorrebbero giocare sempre.
La gara contro il Verona è stata difficile per tre motivi: 1) le assenze; 2) la fatica della terza partita settimanale; 3) l’ottima disposizione in campo del Verona, che Mandorlini ha plasmato a sua immagine e somiglianza, cioè senza paura di passare a volte per catenacciaro ma in realtà sempre pronta a ripartire. La Roma ha tirato 20 volte verso la porta, con oltre il 70% di possesso palla, ma anche il Verona ha avuto qualche occasione. Nel basket, contro le squadre che si chiudono tutte sotto canestro, è fondamentale il tiro da fuori e tutti gli allenatori dicono ai loro giocatori di insistere anche dopo una serie di errori. Così è successo ieri, con Florenzi che è stato lucido a scegliere una soluzione da 25 metri e bravo a trovare la diagonale che ha tagliato fuori il giovane e promettente Gollini. Il raddoppio di Destro è stato un colpo di teatro, ma già prima, su due accelerazioni di Gervinho, la Roma era andata vicino al raddoppio. Francesco Totti ha ringraziato i tifosi per l’amore che anche ieri gli hanno dimostrato. Florenzi, come in campo, è stato il più furbo anche fuori: «Con il gol sono a posto con il regalo per Francesco». Gervinho ha richiamato tutti all’ordine: «Adesso pensiamo al City». Già, per la Juventus che non molla mai c’è ancora un po’ di tempo.