29/09/2014 09:25
IL MESSAGGERO (A. ANGELONI) - Gervinho e/o Maicon, un anno dopo. Seydou Keita accolto dallo scetticismo generale, come fu per il l’ivoriano e il brasiliano. Non per le sue qualità, riconosciute e apprezzate in tutto il mondo, quanto per l’età, 34 anni, rapportata alla sua pancia piena di vittorie. Che ambizione può avere questo calciatore, riempito dagli splendori del Barça di Guardiola e che arriva pure a costo zero? Leciti, gli interrogativi. Lecito. Ma poi la storia cambia sul campo. E guardando la Roma ti accorgi che, tra gli altri, c’è un calciatore che alita grandezza, grandeur, per dirla alla francese, la lingua del suo paese, il Mali. Di africano ha il cuore e l’anima, la religione musulmana («sì, sono un praticante, osservo il Ramadan, a meno che non ci sia un doppio allenamento a 40 gradi...») la testa pian piano è diventata europea, perché il calcio lo ha portato dalla Francia alla Spagna (e poi anche in Cina). Ora è qui da noi, a svernare forse, ma in maniera attiva. Ha preso il posto di Taddei, come ruolo nella rosa, e c’è chi ha anche fatto girare una battuta: «Speriamo che dopo Rodrigo, il Perugia non ci porti via anche Seydou...». I tifosi hanno voluto bene a Taddei, di Keita sono già cotti, in lui vedono l’uomo per le vittoria. Come fu per Batistuta. Lui arriva con un curriculum niente male. Se si prendono i titoli di tutti i giocatori della Roma, forse, non si arriva a quelli vinti da Seydou. Guardiola lo aveva definito un barometro, qui è diventato il professore, il magnifico rettore, il mostro etc etc. C’è chi lo paragona a Emerson, chi ci rivede Falcao. Grandi giocatori, con un tratto comune: la leadership.
LE CHIAVI E LA FASCIA - Garcia lo ha detto subito, non sottovalutate questo acquisto. Anche Seydou è partito in silenzio ma ha subito fatto capire che non era venuto a Roma per fare il comprimario. Il feeling è nato in un istante, sarà anche per il calcio offensivo e palleggiato che Rudi propone. «Pep parlava bene di me perché ha sempre riconosciuto il mio lavoro per la squadra. Garcia è simile: anche a lui piace far giocare bene la propria squadra, avere il possesso palla e la gestione della partita. Hanno lo stesso credo: i risultati si centrano attraverso il gioco». Ah, però. Un complimento mica da poco, soprattutto perché fatto da uno che non deve dimostrare nulla e non ha bisogno di accattivarsi nessuno, tanto meno il suo nuovo allenatore. L’ha detto, così deve essere. In poche settimane c’ha messo testa, anima e il piede (più del 90 per cento di passaggi riusciti, la media delle cinque partite di campionato, tre giocate da titolare), poi ci ha messo anche il braccio: senza Totti e De Rossi, la fascia è andata a lui, sempre per quelle doti di leader che Garcia gli ha riconosciuto subito. «Indossare la fascia di capitano di una squadra così importante, è un grande onore, non mai questo giorno scorderò», così ha detto Seydou, il twittato testuale. Sì, Keita ha anche un profilo twitter, come i giovani: international malien jouer. Malien, Mali, il paese che non dimentica a magari lì tornerà a fine carriera. «Prima devo pensare all’educazione dei miei figli, poi vedremo. A Bamako ho una scuola calcio, per ora se ne occupa mio fratello, ma in futuro voglio seguirla da vicino e ampliare il progetto. Vorrei che tutti i bambini maliani appassionati di pallone potessero avere l’opportunità di diventare calciatori come lo sono io». L’insegnamenti del professore, del magnifico rettore, del barometro. Keita, Seydou? La Roma è al sicuro