17/10/2014 10:01
IL MESSAGGERO (S. DASCOLI) - Elogi sperticati ai giallorossi, a Rudi Garcia, a Totti, alla «lezione» di cultura sportiva di James Pallotta; bordate alle tensioni di Juve-Roma, in campo e fuori, e in generale a un calcio italiano che stenta ad uscire dal pantano. All’Aquila Fabio Capello viene premiato con il «Socrates Parresiastes», assegnato «a chi ha il coraggio di dire sempre la verità». Quella del tecnico dell’ultimo scudetto è una bella spinta per la Roma, «competitiva e costruita con la voglia di essere protagonista», «la squadra più divertente, con una mentalità vincente in Champions e in campionato» e «da quest’anno molto molto più vicina alla Juve». Inevitabile, però, ripartire dalla Partita, quella che ancora accende le polemiche dopo due settimane: «Non è stata bella – punge Capello – né in campo, con tante ammucchiate intorno all'arbitro, né fuori. Ci sono rimasto male, si è persa un’occasione per dimostrare che il nostro calcio sta tornando ad alti livelli». Insomma, un calcio bello deciso alle polemiche: «È grave che ancora si parla di questo, bisogna dimenticare quello che è successo. Il proprietario della Roma ha dato una grande lezione a tutti quanti, ma c’è chi non ascolta…».
«TOTTI È LA LUCE» - Con la Juve «si può vincere regolarmente» e Capello tira fuori dal cassetto dei ricordi la famosa trasferta trionfale nell'anno dello scudetto, il 2-2 firmato Nakata e Montella. «Non esistono aiuti – dice – la differenza quando si va in alcune squadre è solo l’abitudine a vincere». E quella Roma era abituata, eccome, così come questa di Garcia, trainata da un Totti sorprendente: «Pensavo smettesse prima, ma ha trovato l’elisir di lunga vita. Lui è uno di quei giocatori che illuminano le partite con la loro classe. Sono due quelli che ancora fanno la differenza: lui e Pirlo». C’è spazio anche per i consigli a Inzaghi («Deve ascoltare tutti e poi decidere da solo»), per il plauso a Tohir («Ha fatto bene a rassicurare Mazzarri»), per le critiche a un campionato italiano «poco allenante, senza grandi giocatori, con un livello sempre più basso». Nel quale «le squadre a fine gara vanno a ringraziare gli ultras e non tutto il pubblico» e in cui i tifosi «gestiscono merchandising e biglietti» (citando la Lazio a questo proposito). Capello ricorda l’addio alla nazionale inglese per colpa dello scandalo-Terry («Il board mi impose di togliergli la fascia da capitano, non potevo accettarlo») e, infine, il caso recente della convocazione dal ministro dello sport russo. «Niente di strano, lui mi ha scelto e con lui mi confronto. Era tutto già previsto».