16/11/2014 10:38
GASPORT (M. CALABRESI) - Se Rudi Garcia non fosse diventato allenatore, forse avrebbe fatto il giornalista. Lo dice lui stesso, lo ha ripetuto ogni volta ne ha avuto la possibilità. Ed è forse proprio per questo, conoscendo il mestiere, che nelle prime conferenze stampa della sua vita romana era una macchina da titoli. Poi, anche Garcia s’è italianizzato, e i titoli sono diventati sempre più un’eccezione. Uno di qusti, il 17 ottobre, dopo Juve-Roma: «Vinceremo lo scudetto». Convinzione ribadita, anche se in Francia «l’ambizione veniva vista come un difetto». In Italia no: «gioco sempre per vincere».
Fine e mezzi - Ieri a Roma Tv, in 40 minuti che somigliano più alla discussione di una tesi (con l’aiuto, a un certo punto, anche del Subbuteo) che a un’intervista (la tv francese ha chiesto di poterla mandare in onda), Garcia ha spiegato come arriva a vincere. Anzitutto, perché in cima al suo pressing, c’è il calciatore più veloce, Gervinho: «E’ molto difficile per l’avversario uscire in maniera tranquilla». Come non deve essere facile vedere la Roma cambiare marcia: «E poi cerchiamo spazi finché non li troviamo, abbiamo la capacità di avere giocatori in grado di rubare palla e andare avanti veloce, come Gervinho e Iturbe. Sono importanti i loro movimenti, ma anche gli inserimenti, ed è importante anche che gente come Manolas e Cole abbia capito quanto conti la velocità». Un calcio moderno, dove il concetto di ruolo fisso non esiste più: di Garcia, stupì sin da subito il suo maniacale riferimento all’interscambiabilità dei ruoli, per non dare punti di riferimento all’avversario. Tutti ingredienti per sfiancare i nemici: non a caso, studiando i dati della Lega, la Roma è a contatto con la Juventus anche nelle classifiche statistiche, dalla pericolosità (78,7%) al possesso (33’45’’), fino a supremazia territoriale (13’19’’) e palle giocate (716). Se nei tiri, totali e nello specchio, la Roma deve migliorare, Garcia trova un altro neo: «Non essere entrati bene a Napoli. A parte quel primo tempo, non ho nessun rimpianto, nemmeno a Monaco. Per questo penso che siamo sulla strada giusta: siamo in corsa per tutto, secondi in campionato, e possiamo passare il turno in Champions».
Città e ambiente - Magari sfruttando anche l’aiuto dei tifosi, che a Tor Vergata gli hanno riservato l’ennesima ovazione («il vero ambiente è quello che ho visto lì, all’Università»): cose che, in Francia, Garcia non si sarebbe mai immaginato di vivere. Galeotto fu l’incontro a Milano raccontato anche venerdì da Sabatini: «Walter è speciale, intelligente e intuitivo, e anche io lo sono. Pallotta? Si prende cura dell’altro, è abbordabile anche se fa il presidente». Garcia, con il suo calcio, l’ha conquistato: ma senza titoli, dovrà rispondere a lui e ai tifosi, prima ancora che ai giornalisti che sarebbero potuti essere suoi colleghi