Il neurochirurgo: "Chirurgia unica via, intervento delicato. Il ritorno in campo? Ogni caso va valutato singolarmente"

21/11/2014 09:22

Il professor Angelo Pompucci,  neurochirurgo e dirigente di primo livello presso l'unita di Neurotraumatologia del policlinico Gemelli spiega cos'è il cavernoma, la patologia che affligge il difensore della Roma «Una malformazione vascolare, di fatto congenita, formata da piccole lacune venose, assimilabile come forma ad una mora. Queste “bolle” hanno una struttura molto fragile: ci sono nel tempo microrotture seguite da microsanguinamenti. Il sangue contiene ferro e il ferro conduce un segnale molto tipico che permette l’identificazione della lesione con la risonanza magnetica. E’ una malformazione che evolve, tende a crescere. Dal punto di vista della terapia, è esclusivamente chirurgica»..

 

Il professor Pompucci spiega poi le modalità di intervento: «Una chirurgia selettiva, bisogna raggiungere il cavernoma sacrificando la minore quota di tessuto cerebrale, cerebellare o midollare. Serve un’attenta conoscenza delle immagini diagnostiche per individuare la traiettoria più sicura. Bisogna rimuvere il cavernoma senza sacrifici lungo il percorso. Si richiede un’apertura del cranio, più piccola possibile. Occorre un accesso facilitato, con la giusta esposizione, per una sicura rimozione del cavernoma. Ovviamente, è un intervento in anestesia generale. E ci si deve affidare spesso ad un ausilio, come la neuronavigazione: si tratta di interventi controllati anche dal computer, con una fusione tra immagini e strumenti chirurgici».

«I rischi dipendono dalla localizzazione della lesione. Quando è scoperta per caso, si preferisce monitorarla. Però il cavernoma può portare al sanguinamento, a uno sbandamento improvviso. Se è localizzato in zona cerebellare, non c’è il rischio di crisi epilettiche. Si interviene se c’è un basso rischio chirurgico, altrimenti si preferisce un approccio conservativo», continua il neurochirurgo, che poi puntualizza sul decorso post-operatorio in questi casi: «Il decorso può essere piuttosto rapido se non ci sono complicanze: una rapida mobilizzazione e un ritorno allo standard nell’arco di qualche settimana. Parlo di recupero della normalità, sia chiaro. I rischi, come in tutti gli interventi, emorragie e infezioni post-operatorie. In questo caso, vista la localizzazione, una fistola liquorale, la perdita di liquido cerebrale. La craniotomia prevede un’incisione dietro la nuca, diciamo di 4-5 centimetri di diametro. Poi si tende a favorire una ricostruzione completa, la breccia ossea viene riparata, con sistemi di chiusura molto efficaci, in titanio. Penso che il rischio meccanico possa essere considerato accettabile. In alcuni campi, per esempio per i militari, una craniotomia determina l’inabilità al servizio. Ci sono atleti che non sono tornati in campo, o calciatori che hanno ripreso a giocare utilizzando un caschetto. Dipende molto dalle differenze tra i vari casi. Così come sono variabili i tempi di recupero».

(corsport)