18/11/2014 09:13
GASPORT (A. CERRUTI) - «Davide, questa portala via tu perché la voglio appendere a casa». Marcello Lippi affida al figlio il quadro con la storica prima pagina della Gazzetta con il titolone TUTTO VERO, doppiamente orgoglioso. «Quel mondiale è stato il mio successo più importante e sono felice che i lettori abbiano fatto vincere la prima pagina della Gazzetta. Conservo quel giornale e conserverò anche questo con rinnovato piacere». Lippi aveva un impegno, ma non ha voluto mancare alla festa di Totti, nel ricordo di Facchetti. «Francesco è stato un esempio per tutti, perché ha sempre pensato anche agli altri, in campo e fuori, con tecnica, forza morale e soprattutto personalità».
Quattro anni dopo l’ultima partita in Sudafrica, che effetto le ha fatto rivedere la Nazionale?
«Confesso di aver provato una bella emozione al momento degli inni, anche se non ho mai smesso di guardare la Nazionale, nemmeno in piena notte in Cina: la Nazionale va sempre vista».
Si aspettava di più dall’Italia?
«Sarebbe troppo facile criticarla perché non ha vinto in casa in uno stadio pieno. Io dico, invece, che contro una Croazia supercollaudata, con ottime individualità, l’Italia ha dimostrato compattezza, umiltà e saggezza tattica, lasciando l’iniziativa agli avversari. Vedo che tutti i giocatori sono sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda e questo fa ben sperare».
Lei è arrivato in Nazionale dopo una lunga carriera, Conte rischia di non avere abbastanza esperienza?
«Non pensavo che arrivasse così presto in Nazionale, ma si è creata una situazione particolare. Tutti volevano una figura di un certo tipo, Conte era la migliore scelta possibile e i dirigenti sono stati bravi a convincerlo. Il c.t. è un selezionatore, ma nei 40 giorni di un Europeo o un Mondiale diventa un allenatore e Antonio fa bene a dire che vuole la mentalità del club».
L’errore di Buffon è un campanello d’allarme?
«Ricordo che alla sua prima partita nella Juventus fece un errore e andammo in svantaggio, prima di vincere 3-2. Gli dissi di non prendersela perché siccome non sbaglia mai, se sbaglia una volta se ne accorgono tutti».
Candreva può esplodere anche in Nazionale?
«Lo chiamai la prima volta quando giocava nel Livorno perché aveva grandi qualità tecniche. Sono contento che abbia segnato e penso che possa dare ancora molto».
Che cosa ha consigliato a Conte?
«Nessun consiglio, anche se parliamo spesso. Purtroppo non ha molta scelta, perché ci sono squadre senza nemmeno un italiano, persino a livello Primavera, e questo è un grave problema. Per fortuna dopo un po’ di tempo c’è un’Under 21 valida, ma intanto Conte ha avuto il coraggio di dare spazio a Zaza e di far debuttare Soriano in una partita così importante ».
Ha fatto bene anche a convocare Balotelli?
«E’ stata una decisione intelligente. Non si può lasciar fuori Balotelli, un patrimonio del calcio italiano, soltanto perché non ha fatto un buon Mondiale. Antonio non lo conosceva e aveva il dovere di valutarlo, perché ci sono giocatori che con un allenatore danno il 30 per cento e con altri l’80».
Ripensando alla prima pagina TUTTO VERO, lei è più pentito di avere lasciato la Nazionale o di essere tornato?
«Di essere tornato, perché non si può tornare dopo aver vinto un Mondiale. Mi ero reso conto di aver lasciato un lavoro a metà e siccome ero disponibile non ho saputo dire di no».
E’ lo stesso errore che può commettere Mancini?
«No, perché la situazione è diversa. All’Inter è cambiato tutto da quando è andato via e poi lui è una garanzia. Anche gli allenatori, come i giocatori, hanno un marchio e Mancini ha il marchio del grande allenatore da grande squadra perché ha vinto ovunque».
Allora non la sorprende l’esonero di Mazzarri?
«Mazzarri è un grande professionista, ma si era creata una situazione che non aiutava il suo lavoro. A 66 anni posso permettermi di dirgli che non si deve preoccupare per questo primo esonero, perché nella carriera di un allenatore l’esonero a volte è quasi necessario, per ragionare, studiare e viaggiare. E lo dice uno che è stato esonerato tre volte, a Siena, a Cesena e all’Inter ».
E’ più forte l’Inter di Mancini o il Milan del suo vecchio allievo Inzaghi?
«Non è diplomazia, ma sono due squadre diverse, ancora incomplete. L’Inter ha più giovani di qualità da assemblare, il Milan è una squadra più esperta con un allenatore come Inzaghi, pieno di entusiasmo, che conosce bene le dinamiche della società. Sarà un derby aperto, anche se per Milan e Inter il 3° posto mi sembra lontano».
Per il primo lei vede sempre la Juve?
«La Juve ha qualcosa in più, anche se la Roma è forte e non mi sembra giusto parlare di crisetta. E non bisogna sottovalutare il Napoli, che ha superato lo choc psicologico dell’eliminazione in Champions».
Quindi la Juve può vincere anche senza Conte?
«Ricordo quello che mi ha detto il mio amico Ferguson, quando è diventato manager: ogni 3-4 anni bisogna cambiare l’allenatore, per dare nuovi stimoli ai giocatori. Dopo Conte, che è un martello pneumatico, Allegri è l’ideale con la sua saggezza e la sua serenità. Non ha rinnegato nulla di quello che ha trovato, anzi lo ha esaltato. E sono convinto che passare da tre a quattro in difesa non è un problema ».
Lei è stato l’ultimo a portare la Juve in finale di Champions nel 2003, dovranno passare altri undici anni prima di rivedere la Juve in finale?
«Spero di no, ma sicuramente oggi è più facile ricostruire la Nazionale. A parte la Germania, le altre sono più o meno sullo stesso livello, mentre per i club è diverso. Le squadre spagnole e inglesi, ma anche il Psg, hanno colossi economici alle spalle per cui è dura competere con loro».
E’ vero che qualche anno fa stava per diventare l’allenatore del Milan?
«Tutto vero, come quel bellissimo titolo. Prima di tornare in Nazionale, Galliani mi ha offerto la panchina, ma gli ho risposto “non posso”. Lui mi chiedeva perché e io gli ripetevo “non posso” e nemmeno adesso posso rivelare il motivo».
E’ favorevole all’uso della moviola?
«Soltanto per stabilire se la palla è entrata in rete oppure no. Per gli altri casi, la penso come Platini. La tecnologia potrebbe portare altro caos. Bisognerebbe saper accettare gli errori degli arbitri».
Ha voglia di tornare in Cina?
«Adesso mi godo le vacanze, dopo il terzo scudetto consecutivo. Poi tornerò come direttore tecnico per altri tre anni, però in panchina ci andrà Cannavaro. Avevo proposto lui o Ferrara, ma volevano Cannavaro già l’anno scorso come dirigente. Fabio è bravo e troverà una struttura che funziona alla perfezione, così io ogni tanto potrò tornare a casa».
Che cosa le manca dell’Italia?
«La famiglia, perché non è facile rimanere in Cina da solo per cinque mesi consecutivi. Pensi che l’altro giorno, quando sono tornato, ho dato una pacca sul braccio a mio nipote Lorenzo che ha 14 anni e l’ho ritrovato tutto muscoloso. Mi ha risposto “nonno adesso vado in palestra” con una voce da uomo e questo mi ha fatto riflettere, anche se in Cina sto benissimo. Mi chiamano tutti Le-pe, con grande rispetto, ma non me la sento più di andare in panchina, anche se in futuro non escludo nulla».
Vuol dire che la rivedremo su altre panchine?
«Io mi conosco e so che quando lascerò la Cina dopo un paio di mesi avrò di nuovo voglia di calcio. Ma accetterei soltanto la panchina di un’altra nazionale, meglio se europea. Anche perché ho partecipato a tutte le manifestazioni, ma mai a un Europeo». E allora appuntamento a Euro 2020, perché Lippi sogna già un nuovo traguardo. E anche questo tutto vero.