19/11/2014 09:55
GASPORT (D. STOPPINI) - Ci dev’essere una sorta di rifiuto dell’idea. L’idea che il calcio sia davvero codificabile con schemi e moduli, ancor più che con un colpo di tacco, un assist, un tiro al volo. Perché il numero 10 per natura è così. È uno di quelli che l’allenatore lo ascolta, sì, ma il giusto. Fino a un certo punto. Il 10 è sicuro del fatto suo, tanto sa che sarà una sua giocata, molto più delle idee del mister, a decidere la prossima partita, quella dopo ancora, e così per sempre. Ecco, forse qui c’è la spiegazione di tutto. Forse qui c’è il perché sono davvero pochi i grandi numeri 10 della storia del calcio, i fantasisti, ad essere diventati grandi tecnici. Come puoi cambiare atteggiamento? Come puoi all’improvviso resettare tutto e fare tu l’allenatore, magari andando dal 10 di turno a spiegare come vincere una partita?
STILE CRUIJFF - Chissà se questo dubbio esiste anche nella testa di Francesco Totti. Magari potrebbe risultare utile una chiacchierata con Zinedine Zidane, che con il Real Madrid B e il figlio Enzo ora sta provando a farcela. O forse sarebbe più produttiva una telefonata a Johan
Cruijff: forse limitativo definirlo un fantasista, primo esempio di calciatore totale qual era, è stato l’uomo che ha avviato il mito del tiquitaca del Barcellona, vincendo tra l’altro 4 campionati spagnoli e una Coppa Campioni. Ben più fortunato di Michel Platini, che un giorno confessò: «Non pensavo sarebbe stato così difficile far fare a un mio calciatore le stesse cose che in campo mi divertivo a fare io». E infatti la carriera da c.t. della Francia è stata un mezzo disastro: qualificazione a Euro 1988 fallita, idem a Italia 1990, eliminazione al primo turno a Euro 1992. Poi si è arreso, preferendo la politica sportiva: altri tipi di dribbling, in fondo.
IN ITALIA C’È MANCIO - Il calcio dalla panchina ama parlare altre lingue: Ancelotti certo non era un fantasista, Mourinho un modesto difensore come pure Arsene Wenger. L’elenco qui sarebbe infinito. Dall’altra parte oggi c’è Roberto Mancini, l’unico italiano già affermato, che proprio Totti si troverà di fronte tra 11 giorni. Gianfranco Zola invece ci sta provando con alterne fortune, Giuseppe Giannini è emigrato in Libano, Robi Baggio un giorno disse di voler provare ma poi ha desistito. Paulo Roberto Falcao non era un 10, ma la fantasia non gli mancava. Ora gli manca la panchina: «Vorrei continuare ad allenare», ha detto di recente. In Brasile però nessuno pare essere d’accordo. Mai arrendersi, non si sa mai. In fondo spera pure Diego Armando Maradona, che con l’Argentina al Mondiale 2010 si è fermato nei quarti di finale e poi è stato mandato via. A Buenos Aires ricordavano i successi di Messico 1986, si aspettavano il bis e rimasero delusi. Ma dalla panchina la «mano de Dios» non si poteva fare. Tutta qui, in fondo, la differenza tra un 10 in campo e un 10 allenatore.