12/12/2014 09:28
GASPORT (C. ZUCCHELLI) - Sarebbe stata una prima volta anche per lui. Non è mai arrivato alla fase a gironi della Champions, Rudi Garcia, e anche quest’anno ha dovuto rinunciare al brindisi. Inaspettatamente, almeno per come si erano messe le cose a settembre: credeva nel miracolo già ad agosto, Garcia, anche se lo sapevano solo i giocatori e i suoi più stretti collaboratori e le prime due partite lo avevano convinto di essere sulla strada giusta. Così come, nonostante il k.o. di Torino contro la Juventus, era convinto di essere sulla strada giusta in campionato. Altrimenti non si sarebbe mai sbilanciato il 17 ottobre, 2 settimane dopo la sconfitta, a dire: «Sono sicuro, vinceremo lo scudetto».
PRESSIONE - Affermazione di fuoco, che ha caricato sì l’ambiente ma al tempo stesso ha messo tanta pressione alla squadra, ribadita in ogni conferenza successiva, con quelle frecciate ai rivali bianconeri («Sapete tutti come abbiamo preso quei 3 gol a Torino») dette più o meno tra le righe una settimana sì e l’altra pure. Lo spavaldo Garcia, quello che è convinto di vincere la Serie A («Non dico le cose tanto per dire », ha ammesso due settimane fa), in Champions, dopo il k.o. con il Bayern, ha invece corretto il tiro. Ha sempre parlato di «exploit, siamo l’outsider del girone» ma, al tempo stesso, nelle prime tre giornate 4 punti tra Cska, Manchester e Monaco all’Olimpico metteva in campo la squadra con le sue caratteristiche innate: quelle di una formazione d’attacco.
ALL’ATTACCO - Iturbe, Gervinho, Totti e Pjanic contro i russi, il tridente con Florenzi quello del record delle 10 vittorie della scorsa stagione a Manchester, di nuovo quello con Iturbe contro il Bayern. «Ce la giocheremo, non faremo una figura da provinciale», disse De Rossi, seduto accanto al suo allenatore. Garcia sorrise e annuì, salvo poi aggiungere: «Rispettiamo tutti, ma non abbiamo paura di nessuno. Il nostro obiettivo spiegò è sovvertire i pronostici, che ci davano e ci danno ancora per eliminati ». Ci ha provato, la Roma, che in fondo fino a mezzora dalla fine del girone era qualificata. Ma ai 4 punti nelle prime due partite ne è seguito soltanto uno, a Mosca, nelle successive 4. E il Garcia sicuro di sé è diventato soltanto un ricordo.
TIMOROSO - E infatti, a Monaco, la conferenza è diventata una resa dei conti anticipata: «Abbiamo poche possibilità di fare risultato, una su dieci. Conterà il contenuto più che il risultato. Qui nessuno ha fatto punti e noi sappiamo come finirà la partita, ma dobbiamo almeno provare a ribaltare i pronostici. Questo non vuol dire difendere di più, se intraprendiamo una strada dobbiamo continuare a seguirla. Però ciò non significa non adattarsi davanti a una squadra più forte per tutti i 90 minuti. Saremo coraggiosi». Detto. Ma non fatto. Perché all’Allianz Arena è scesa in campo una Roma timorosa, terrorizzata dai fenomeni tedeschi e schierata con Keita, De Rossi, Nainggolan e Florenzi a centrocampo e i soli Destro e Iturbe davanti. Alla fine, dopo aver perso 2-0, i giocatori sembravano quasi sollevati.
ANIMA E PAURA - Così come dovevano essere sollevati sabato scorso, quando all’Olimpico è arrivato il Sassuolo: la Roma scendeva in campo dopo il pareggio della Juve a Firenze, l’errore di De Sanctis sul primo gol ha tagliato le gambe alla squadra. Alla fine la Roma è riuscita ad agguantare il pareggio, ma nelle dichiarazioni post partita non è emersa la rabbia di un allenatore che avrebbe voluto vincere contro una squadra inferiore, consapevole di un’occasione persa, ma il sollievo di un tecnico che è riuscito a portare a casa un punto. «La mia squadra ha un’anima e di questo sono felice», ha sintetizzato. Vero. Come è vero anche, però, che per vincere lo scudetto serve ben altro.