11/12/2014 08:41
GASPORT (P. CONDO') - Non puoi pensare di muoverti per 90’ in un giardino pieno di serpenti a sonagli senza venire morso. Rudi Garcia coltiva quest’illusione, e il fatto che per un’ora gli vada bene segna la sua fine, perché quando Nasri pesca l’inevitabile jolly è troppo tardi per cambiare chip a una squadra angosciata. La Roma esce così dalla Champions affogata nei rimpianti, per altre serate e pure per questa, che sarebbe stato opportuno affrontare in modo diverso. Pellegrini aveva fatto pretattica, oltre ad Aguero e Touré non poteva contare nemmeno sul cardine della difesa Kompany: anche così conciato il Manchester City resta una squadra forte, ma è chiaro che tante assenze - oltre tutto davanti al tuo pubblico - andavano sfruttate con un piano tattico più virile. In Inghilterra la Roma aveva trovato i rivali al completo, eppure per larghi tratti del match aveva condotto le danze; in casa sua, con la qualificazione in palio, le è venuto il braccino. Il giorno del sorteggio si era detto che la conclusione più normale del girone sarebbe stata l’Europa League. Alla fine è andata proprio così, eppure nessuno nasconde una profonda delusione.
PARTENZA ILLUSORIA La coltellata di Nasri arriva allo scadere dell’ora di gioco, e sin lì avevamo consumato l’orologio a forza di guardarlo, consapevoli che lo scarso numero di pericoli creato dal City non volesse dire niente, anche perché Pellegrini aveva le briscole ancora in panchina. La Roma era pure partita bene, nei primi 5’ sembrava intenzionata a impadronirsi della serata. Ma i suoi buoni propositi si erano spenti sulla grande occasione mancata da Holebas: all’estremità dell’arcobaleno disegnato da Totti c’è la pentola magica, ma il greco la spreca tergiversando finché Hart non è ben piazzato per bloccargli il diagonale. La Roma è coraggiosa sulla carta, perché Garcia unisce il centrocampo leggero, quello con Pjanic (fuori De Rossi), all’attacco pesante, quello con Ljajic: sul campo, invece, il palleggio del City induce Gervinho e Ljajic ad arretrare parecchio il loro raggio d’azione, lasciando il solo Totti a fare da impossibile punto di riferimento, perché il capitano è uomo da triangoli volanti, non da tener palla per far salire la squadra. Dopo un quarto d’ora la partita è definitivamente impostata su un City in controllo e una Roma asserragliata dietro nel tentativo di attivare il contropiede delle sue frecce esterne con lunghissimi lanci dalle retrovie. Non proprio un piano di gioco, e soprattutto un sistema che rende del tutto inutile la presenza di Totti.
PAURA GIALLOROSSA La verità, molto umana ma non per questo meno triste, è che i giocatori della Roma hanno paura. Lo capisci dal fatto che quando quelli del City sbagliano un controllo, allungandosi troppo la palla, non c’è mai lo scatto in avanti di un giallorosso per impadronirsene: nessuno si arrischia a lasciare la sua posizione, come imporrebbe la regola del pressing, ma da Keita in giù tutti rinculano fino al limite della propria area e anche dentro, rimandando il momento del tackle ma così concedendo troppo campo ai rivali. Prima del gol di Nasri la Roma sarebbe pure in vantaggio quanto a occasioni, perché a una pericolosa penetrazione di Milner fanno da contraltare la grande chance di Holebas e un bel contropiede di Gervinho salvato da Hart; ma concettualmente la gara ha un padrone preciso, che parla inglese. O meglio le mille lingue nobili messe assieme dallo sceicco Mansour.
LA FINE E’ IL PALO Il gol di Nasri cambia radicalmente il panorama, inchiodando la Roma all’esigenza di segnare due gol. Garcia immette Iturbe e Destro, e proprio il centravanti porta un po’ di scompiglio, aumentando i rimpianti per non aver messo un cuneo dall’inizio nella zona dei mediocri Demichelis e Mangala. Ma il palo colto di testa da Manolas (bravo Hart) e una respinta su tiro di Destro - entrambi al 27’ - sono i momenti in cui alla Roma, oltre ogni demerito, dice pure male. E il raddoppio di Zabaleta è lo sfregio finale su quel che poteva essere e non è stato.