11/12/2014 09:32
LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Una maledizione, non c’è dubbio. Nonostante il girone di ferro e quel dolorosissimo 7-1 col Bayern, Rudi Garcia non era mai andato così vicino a passare davvero il turno. Eppure, anche stavolta è finita come le altre: tre partecipazioni alla coppa europea più importante, altrettante eliminazioni: anche con la Roma, dopo le due con il Lille. Una fastidiosa, irritante sensazione di impotenza quella con cui l’allenatore francese si ritrova a fare i conti ancora una volta. La dimensione europea è lontana, aveva chiesto di «potersi giocare la Champions», e invece deve rimandare un’altra volta. Altro che l’exploit auspicato in francese alla vigilia: anche per questo, per una volta, nel suo muro di sostegno cieco alla squadra monsieur Rudì apre una crepa: «Loro hanno più maturità, più esperienza. Noi impariamo. Dobbiamo migliorare e avere giocatori più forti se vogliamo raggiungere squadre di questo livello », sibila quasi. Poi rimedia: «È questione di fatturato». Ma è cupo, mentre riavvolge il nastro ai primi minuti di gara: «Nel primo quarto d’ora era possibile fare meglio, segnare per aprire questa partita». La testa dell’Olimpico mentre Nasri e Zabaleta cancellavano anche il ricordo di quel quarto d’ora è volata a Mosca, al gol preso al 93’ che forse ha cambiato la storia di questa qualificazione: in quel momento la Roma sembrava già agli ottavi. «Ma veramente quei minuti non sono un rimpianto — si affretta a giurare Garcia — è vero, ci sarebbe bastato il pari, ma contro il City giocare per il pareggio sarebbe stato un suicidio».