09/02/2015 09:51
GASPORT (A. CATAPANO) - Squadra d’emergenza, modulo d’ordinanza. Così la Roma ha messo il naso fuori dal tunnel (per il resto del corpo si vedrà). Tutto o quasi si può dire del Rudi Garcia di stagione — è innegabile che in generale appaia un po’ appassito rispetto ad un anno fa —, non che abbia smesso di affidarsi al suo modulo — 433, pure se assai elastico — e ai suoi principi: circolazione della palla in stile calcio a 5, improvvise accelerazioni, movimenti in orizzontale in modo da creare superiorità numerica in una particolare zona del campo, ieri la trequarti destra dove stazionava l’anello debole del Cagliari, il terzino brasiliano Avelar. L’idea di calcio di Garcia è rimasta sempre la stessa, anche in questo ultimo mese di brodini, pareggini, eliminazioni, qualche fischio e parecchie critiche. Per dire, aveva destato qualche perplessità l’inserimento di Daniele Verde, 18enne portato in dote dalla Primavera (nemmeno il più bravo, si sussurrava), allora un perfetto sconosciuto, spedito in campo a Palermo, al posto di Iturbe, nel quarto d’ora finale, quando la squadra tentava di vincere la partita. Quasi un mese (e altri 8’ con l’Empoli) dopo, ieri Verde è stato riproposto, addirittura dall’inizio: scelta dettata dalle assenze, ma assai ponderata. E avendolo visto all’opera col cuore più leggero («A Palermo ero molto più teso», ha confidato il ragazzo), si capisce che pure quella della Favorita non fu una mossa azzardata né, probabilmente, un messaggio perché Sabatini intendesse. E a proposito, non può essere un caso nemmeno che in un momento d’emergenza, la prima vera da quando allena la Roma, Garcia si sia affidato ad un ragazzo italiano, cresciuto nel vivaio giallorosso, dandogli un carico di responsabilità che solo in parte è finito pure sulle spalle di Paredes e Sanabria, i giovani e talentuosi sudamericani arrivati grazie ai buoni uffici di Sabatini.
FIDUCIA La prestazione di Verde dà ragione a Garcia. E al di là delle statistiche della partita, assai gratificanti — 2 tiri nello specchio, 2 fuori, 7 cross, 2 sponde, 3 occasioni create, 3 palle recuperate (ma anche 17 perse) —, racconta tanto (se non tutto) l’assist per il gol di Ljajic, figlio della tecnica ma non dell’istintività (oddio, magari un pizzico), come ha rivelato lo stesso Verde: «L’1-2 con Ljajic è uno schema più volte provato in allenamento». Confessione che racconta pure di una certa dose di fiducia che i senior (o leader o stelle, come volete) della squadra ripongono nello junior. Che, in effetti, ieri praticamente da solo ha portato il naso della Roma fuori dal tunnel. Perché, a parte Verde, la lista delle cose (buone) da segnalare è corta: i già citati movimenti in orizzontale di Ljajic (oltre al gol, nato da una punizione), la solita quantità mostruosa di palloni toccati da Keita – 104, ma il maliano spicca anche per passaggi positivi (73), lanci positivi (7), contrasti vinti (3), palloni intercettati (5) e recuperati, 9) – l’insolito attivismo di Torosidis, la cui catena (copyright Spalletti) con Verde è stata una delle cose più produttive della partita. Viceversa, le cose che non vanno sono ancora troppe: amnesie difensive raccapriccianti, marcature larghe, due terzi del centrocampo in affanno (soprattutto il guerriero stanco Nainggolan), Totti non pervenuto. Ma il Parma domenica è una benedizione