Quel che resta di un duello tutto da vedere
02/03/2015 10:14
LA REPUBBLICA (M. CROSETTI) - Tutto quel che resta dello scudetto, certezza e follia, orgoglio e pregiudizio, ragione e sentimento, stasera scivola nell’imbuto di Roma-Juve che non sarà più la madre di tutte le sfide (i bianconeri a più 9 non lo consentono), ma almeno la sorella sì. C’è dentro molto: desiderio di rivalsa, sicurezza di sé, vertigine di una sola notte che non sposterà troppo la classifica ma peserà sugli animi, e un poco sulle settimane a venire, con la Juve già orientata verso la Champions e la Roma che non può continuare la filastrocca dei pareggi, o peggio.
L’attesa dura da quattro mesi, dalla rabbia giallorossa contro l’arbitro, da Totti che disse «la Juve dovrebbe giocare un campionato a parte» e che ora parla di vittoria per riaprire tutto, per spalancare la speranza come una porta, possibilmente quella di Buffon. Quattro mesi hanno dimostrato che la Juventus è migliore, più completa e continua, più forte di cuore, però stasera non conterà niente. Siccome Garcia deve aver fatto il liceo classico da qualche parte, in Francia, eccolo parlare di “hybris”, cioè dell’invidia di qualche divinità per punire la sua tracotanza quando disse: vinceremo lo scudetto. Avrà imparato, Garcia, che gli dei sono quasi tutti juventini.
La frizzante aria olandese ha rivitalizzato la Roma, mettendole un po’ di ossigeno nelle arterie. Le serviva un’impresa a Rotterdam per l’autostima, e per la quadratura di qualche cerchio tattico: con Pjanic, Ljajic, Totti e Gervinho, la carestia dell’attacco potrebbe anche finire. All’Olimpico arriva una Juve non del tutto decifrabile, solo discreta contro il Borussia dopo troppa stanchezza non prevista e qualche frenata. Dovrà essere in salute perfetta per non soffrire la prevedibile onda d’urto giallorossa, quel sentimento da ultima chiamata e ultimissima occasione.
Il problema di Allegri potrebbe diventare il centrocampo, com’era stato ultimamente anche senza infortuni e malanni. Il reparto è tutto da ridisegnare: fuori Pirlo per venti giorni almeno, recuperato Vidal ma scricchiolante, a probabile riposo precauzionale Pogba, rimane la sola certezza di monsù Marchisio, unico torinese della Juventus. Dalle risposte che arriveranno lì nel mezzo, si capirà il destino della partita.
Con l’umana speranza che a nessuno parta l’embolo e che gli isterismi rimangano a casa: litri di veleno, all’andata, non cancellarono del tutto la bellezza elettrica di quella gara, varrebbe la pena tenersi la bellezza di stasera e lasciar perdere le sclerate, qualunque cosa veda o fischi l’arbitro Orsato (uno bravo, molto).
In attesa dunque della sorella di tutte le sfide, il campionato ha proposto ieri una mini Europa League.
Il Napoli poteva raggiungere la Roma anche solo per qualche ora, non c’è riuscito perché ha atteso troppo il Toro e perché il Toro è diventato proprio forte: non perde da tre mesi.
Vittoria granata sacrosanta dopo l’impresa di Bilbao, e sarebbe il caso di inserire Giampiero Ventura tra i grandi allenatori italiani degli ultimi quindici anni. Se non ha mai avuto una grande occasione, peggio per chi non gliel’ha offerta.
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