27/04/2015 14:45
CORSERA (G. BIANCONI) - Il segnale più evidente dell’emergenza, di una situazione considerata preoccupante e pericolosa, sono gli agenti sotto copertura. Proprio ieri, nel settore ospiti dello stadio di Torino riservato ai sostenitori juventini, due supporter sono stati individuati da poliziotti travestiti da tifosi, bloccati e portati via con una «operazione chirurgica », senza che quasi gli altri presenti si accorgessero di ciò che stava accadendo: uno aveva divelto e stava per lanciare un seggiolino, l’altro voleva tirare in campo un «artificio pirotecnico».
Nelle curve la polizia si muove così; intervenire in altro modo, con gli uomini in divisa o addirittura i reparti mobili sugli spalti, significherebbe solo alimentare gli scontri, anzi garantirli con certezza pressoché matematica. È una delle leggi non scritte del «pianeta calcio violento», dove la ricerca del contatto e del corpo a corpo con le forze dell’ordine è l’obiettivo primario di alcune componenti degli ultrà organizzati; qualcosa che va al di là della fede calcistica, tanto da provocare alleanze temporanee tra opposte fazioni unite contro caschi, scudi e manganelli con le insegne di polizia, carabinieri o guardia di finanza. Anche per questo ci si organizza con le bottiglie molotov, come quelle trovate in una macchina parcheggiata nei pressi dell’Olimpico in occasione dell’ultimo derby di Roma. Dopodiché, dentro le curve trovano sfogo aggregazioni e tensioni che difficilmente riescono a sfogarsi altrove: nelle manifestazioni di piazza quando c’è una matrice politica, ma con poche altre possibilità di esprimersi quando dietro ci sono forme di aggressività e generica sfida al potere alimentate da tensioni e disagio sociale. A volte anche nelle gradinate c’è una componente politica estrema, soprattutto di destra, che può diventare strumento di reclutamento, ma prima durante e dopo una partita passa in secondo piano. Lasciando spazio all’atteggiamento arrogante dei capipopolo che — assistiti da manipoli di fedelissimi che pensano di farsi valere attraverso bombe carta, scritte offensive o cori che inneggiano agli assalti a celerini o tifoserie avverse — finisce per incutere timore e sottomissione nel resto dei presenti. Che sono costretti a subire le decisioni altrui; oppure a collaborare per far passare pezzi di striscioni (possibili da nascondere perfino dentro le scarpe), o petardi camuffati all’interno di un panino, all’ingresso dello stadio dove i controlli sono necessariamente meno rigorosi verso chi si presenta con la «faccia pulita».
È così che sugli spalti entra ciò che in teoria non dovrebbe, e per evitarlo si dovrebbe procedere a perquisizioni personali di un’intera curva: migliaia di persone, con evidente disagio e rischio di esasperare gli animi in un ambiente già sufficientemente focoso. Di qui l’attenzione mirata da parte delle forze di polizia, costrette a impiegare risorse ingenti ogni domenica, sottratte al contrasto o controllo di realtà complicate come la criminalità diffusa, l’immigrazione, il rischio terrorismo e tutte le altre «criticità» quotidiane. Passi avanti ne sono stati fatti, perché rispetto al passato non ci sono più i treni devastati da carovane in trasferta senza biglietto, autogrill presi d’assalto, incidenti con cadenza settimanale; restano altre forme di violenza che a volte esplodono in maniera più evidente come ieri, perché si contano i feriti, ma covano sotto la cenere anche quando se ne parla meno o per niente. È il motivo per cui gli analisti e gli addetti al contrasto a questo tipo di criminalità — sebbene criminalizzare il tifo in generale, anche quello più vivace ed estremo, sarebbe un grave errore — ritengono che pure le società di calcio dovrebbero essere più collaborative con i responsabili della sicurezza, e meno indulgenti verso certi atteggiamenti degli ultrà. Episodi come quelli di Cagliari e Bergamo, dove la sfida più o meno minacciosa di una fetta della tifoseria ai calciatori è stata prima denunciata e poi sminuita dai dirigenti delle due squadre, vengono considerati passi indietro rispetto a una nuova cultura sportiva che dovrebbe portare all’isolamento dei violenti. Le squadre «a rapporto» sotto le curve sono diventate un sintomo del rapporto malato che può instaurarsi tra società e supporter; così come — su un altro piano — il tifoso che ieri a Torino ha sferrato un calcio al pullman della Juventus mentre teneva per mano il figlioletto.