27/04/2015 13:40
GASPORT (M. CECCHINI) - Per un attimo, un solo, ieri la Roma si è tinta di gialloblù. Il pareggio del Chievo, infatti, ha reso meno amaro il sorpasso Champions da parte della Lazio. La carezza della sorte, però, ha soltanto reso attutito la caduta di San Siro, che ha visto nel dopo partita un protagonista a sorpresa: Miralem Pjanic. Il bosniaco è stato sincero ed il senso del suo discorso è stato: la squadra deve cambiare atteggiamento, a partire dal lavoro settimanale. In fondo, a pensarci bene, è come la favola del bimbo che dice: il re è nudo. Ma la cosa ha ovviamente spaccato l’ambiente e resa inquieta la squadra soprattutto perché Rudi Garcia, da buon attore (per sua stessa ammissione) durante tutte le ultime settimane di evidente declino in ogni vigilia ha sempre ripetuto il solito mantra: «La squadra si è allenata bene questa settimana».
MUGUGNI... Questo è il sunto del pensiero di Pjanic, protagonista ieri di un blitz in Bosnia e in progresso per il match col Sassuolo: «Occorre cambiare atteggiamento anche durante la settimana. Bisogna avere rabbia, determinazione e voglia di risultati. Così non va bene. Se vogliamo arrivare in alto non possiamo accettare certe cose. Dobbiamo svegliarci e dare molto di più». Inutile dire che questo ha diviso lo spogliatoio della Roma. C’è chi pensa che Pjanic abbia ragione perché tanti fanno il minimo sindacale e questo in campo si vede; altri invece ritengono che, pur con fondati motivi, quelle cose Miralem avrebbe fatto bene a dirle prima al gruppo; altri ancora infine giudicano sbagliato il concetto in sé. Ovvero, loro danno il massimo ma Garcia si fida sopratutto dei suoi prediletti (Pjanic è tra questi, con Gervinho, Keita, De Rossi e qualche altro), senza contare che sia a livello di preparazione che di tattica il francese, secondo la pancia di Trigoria, non è ancora un allenatore di primo livello. Il perché di molti malumori del gruppo è chiaro: non vogliono fare da capri espiatori nei confronti di una tifoseria calda, che tra l’altro ha eletto l’allenatore come idolo («Noi vogliamo undici Garcia», hanno cantato gli ultrà nel giorno dell’eliminazione in Europa League contro la Fiorentina).
... E SORRISI. Tutto sommato però, se la sortita di un suo fedelissimo non deve essere dispiaciuta a Garcia, di sicuro è stata gradita dalla società. Non a caso il d.s. Sabatini ha così chiosato: «Quando le dice un calciatore, noi ci sentiamo più autotutelati. Faccio un applauso a Pjanic. Credo che si riferisse agli allenamenti, e se lo dice lui io lo accetto». Tutto sommato, anche una raccomandazione implicita al tecnico che, a dispetto del piglio decisionista, quasi tutti raccontano nello spogliatoio come abbastanza morbido, sopratutto con i più esperti.
RIVOLUZIONE O NO? Adesso, però, non è possibile pretendere rivoluzioni copernicane negli atteggiamenti. Se è vero che alcuni giocatori credono si siano fatti due pesi e due misure per certe situazioni (le bizze agostane di Gervinho opposte alla rigidità adottata con Benatia, i problemi di Maicon, l’esuberanza di Nainggolan e altro), non è il momento per arrivare alla resa dei conti. Troppo tardi. A fine stagione si faranno i bilanci e a quel punto è possibile anche che possano confrontarsi filosofie differenti. Se sabato Sabatini è andato giù piatto («Non arrivare in Champions sarebbe un fallimento») lasciando ipotizzare la quinta rivoluzione in altrettante stagioni, il d.g. Baldissoni è stato più cauto: «Non pensiamo di dover distruggere la squadra. Cercheremo di ritoccare quanto stiamo facendo». Magari sopratutto in attacco, visto che il reparto è il nono del campionato. In ogni caso, la tabella di marcia stilata da Garcia alla vigilia della partita con l’Atalanta è giù saltata («10 punti in 4 partite»), ma l’accesso in Champions League e al tesoro che porta in dote resta sempre portata di mano. E in fondo ormai è questa l’unica cosa che conta.