01/04/2015 11:19
IL TEMPO (G. GIUBILO) - Non è una polemica destinata a sfumare, quella tra la federazione che gestisce le squadre nazionali e le società che stipendiano ogni mese i giocatori da consegnare al tecnico di turno. Ma sembra giusto sottolineare quanto l'eterno dibattito sia in realtà pretestuoso. Ora nessuno pretende un improvviso e improbabile risveglio da parte della Lega, che dovrebbe tutelare gli interessi del calcio professionistico, ma stupisce che i padroni dei club accettino senza replicare le cifre che la Federcalcio esibisce per giustificare le sue pretese.
Si vuole sostenere, da parte di Tavecchio e dei suoi scudieri, tutti lasciati in eredità dal settore dei dilettanti, che i club non possono lamentarsi, perché ogni convocazione in azzurro garantisce un sostanziale aumento del valore di mercato dei giocatori, con riflessi economici rilevanti a favore dei proprietari dei rispettivi cartellini. Ma nessuno ribatte a una considerazione elementare: si tratta di valutazioni gonfiate, non reali. Che le chiamate in Nazionale producessero una volta queste plusvalenze è innegabile, ma si riferiscono ad alttre epoche e ad altre realtà, quando le attività internazionali erano limitate e in azzurro venivano chiamati, in media, venticinque atleti nel corso dell’anno solare, quattro o cinque in tutto gli impegni.
Poi il calendario si è dilatato a dismisura, da tempo ormai in Nazionale viene convocato un centinaio di elementi per ogni stagione, le dimensioni di ogni valutazione individuale sono irrilevanti, se non addirittura nulle. E dunque stiamo discutendo di cifre fittizie, artatamente gonfiate, le società non soltanto danneggiate, con pretese di stages e raduni fasulli, ma anche prese in giro. Ora sarebbe troppo sperare che Beretta intervenga per onorare il suo ruolo istituzionale, ma è più grave e più sorprendente l'inerzia di chi ogni mese paga lo stipendio a giocatori sfruttati da altri. I proventi della Nazionale se li pappa la Federcalcio, gli altri sono i soliti polli.