08/04/2015 15:17
LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Sembra quasi di sentirlo mentre carica di disgusto ogni singola sillaba: «Siamo stufi di questi fucking idiots», e la traduzione è quasi superflua. James Pallotta si rivolge così a quei tifosi che sabato hanno macchiato un Roma-Napoli già temutissimo con quell’attacco gratuito e imbecille alla madre di Ciro Esposito. Mentre il giudice sportivo, sull’onda del clamore mediatico della vicenda, pubblicava la sentenza che chiuderà la curva Sud dell’Olimpico per un turno di campionato, il 19 contro l’Atalanta, il numero uno del club giallorosso alzava il telefono per mettersi in contatto dall’America con la radio di stato di Trigoria. E lanciare la sua replica. Parole inequivocabili: «Non è giusto che tutti i nostri tifosi debbano essere puniti per colpa di pochi idioti che frequentano la curva Sud. E sono sicuro che la maggior parte dei tifosi della Roma siano stufi di questi idioti e stronzi del cazzo». Il turpiloquio è parte integrante della presa di posizione, perché ne rende la genuinità, la forza verbale.
Una scossa violenta alle mele marce del tifo, che non ha precedenti tra gli abbottonatissimi presidenti italiani, e arrivata dopo un pomeriggio di colloqui sull’asse Roma-Boston con il dg Baldissoni, per farsi spiegare ogni aspetto della vicenda. Poi è entrato nella questione, a modo suo: più o meno come nel 2013, quando disse di non considerare tifosi della Roma i responsabili di cori razzisti. Anche durante l’ultimo Roma-Juve avrebbe voluto poter entrare in campo e andare a sbraitare contro la curva, che aveva deciso di mettere in scena uno sciopero del tifo con striscioni discutibilissimi che lui, sbigottito, aveva dovuto spiegare non senza imbarazzo anche a Serena Williams, sua ospite d’onore. Quando ha saputo della sanzione, l’ennesima da quando è presidente — la Roma è la società più colpita dalle multe del giudice sportivo (già 250.000 euro quest’anno), tra bengala, fumogeni, bottigliette lanciate in campo dai suoi supporter — ha deciso di intervenire in maniera drastica. Di certo il presidente americano si sente «frustrato e deluso », perché «come club non abbiamo il potere di fermare tutto questo: gli steward all’interno dello stadio non hanno l’autorità per intervenire in simili situazioni ».
Ora insieme al management deciderà se avanzare ricorso contro la chiusura della curva: da conciliare l’anima di chi a Trigoria preferirebbe tenere un profilo basso e chi invece ritiene ingiusto pagare per striscioni beceri, sì, ma puniti in modo più severo di altri, infelici almeno quanto quelli romani. Perché — si chiedono nella Roma — per chi sputa sui morti di Superga o per chi minaccia vendette («Se occasione ci sarà, non avremo pietà») basta solo una multa? Sulla legittimità della sanzione, in effetti, è lecito discutere: striscioni che abbiano portato alla chiusura di un settore, escluso il periodo di restrizioni sulla discriminazione territoriale durate lo spazio della sola stagione scorsa, non se ne ricordano.
Per sostenere la tesi il giudice Tosel ha sommato le scritte ai cori sul Vesuvio, e cancellato le attenuanti solitamente applicate: una capriola giuridica per cui, in sostanza, la Roma non avrebbe collaborato con la polizia, né applicato modelli di prevenzione, né agito per rimuovere tempestivamente i messaggi, scarseggiando inoltre nella vigilanza. Atteggiamenti a cui il club, in caso di ricorso, proverà a dimostrare di aver invece ottemperato. In attesa della decisione, Pallotta ha contattato telefonicamente anche la signora Leardi: un modo per far sentire alla madre di Ciro la vicinanza del club, non soltanto nelle parole contro gli ultrà. Chissà che non la inviti allo stadio il prossimo 3 maggio, anniversario della sparatoria in cui perse la vita il figlio, quando la fondazione Roma Cares (a cui ieri il presidente ha donato 1 milione di euro) porterà all’Olimpico i bambini delle scuole elementari di Roma, con uno striscione sui valori dello sport. Diverso, non c’è dubbio, da quelli di sabato.