13/04/2015 16:37
ASROMA.IT (T. CAGNUCCI) - Se la Roma storicamente o semplicemente in un certo immaginario è sempre stata la squadra che lotta, che dà, sanguigna come la sua maglia, generosa, popolare, innamorata, ecco, anche da questo punto di vista Rudi Voeller è stato un grande romanista. Non solo un grandissimo attaccante, non solo un campione del Mondo e d'Europa, non solo un bomber, non solo un allenatore, ma soprattutto un romanista. Che è la cosa più grossa, la cosa più giusta.
Il Tedesco che vola è stato un giocatore umile che s'è caricata sulle spalle, spesso da solo, una squadra in quegli anni quasi mai grande come lui. Il Tedesco che vola dai gol impossibili, dalle corse bionde in apnea con la schiena curvata verso la curva, dai rigori a palombella, è stato soprattutto quello che "se fa i cross da solo" perché "giocava da solo". Imperatore e operaio. Un asburgico e un sanlorenzino. Non ha conquistato il Mondo e l'Europa con la Roma (anche se nel '91 nella prima classifica per statistiche la Roma arrivò prima e in finale di Uefa solo un palo ci divise da quella coppa) ma il cuore della Roma che è la Curva Sud sì. La tripletta a Bruxelles contro l'Anderlecht, il capolavoro nella prima in campionato nell'Olimpico nuovo contro la Fiorentina, il gol da Holly e Benji a due minuti dalla fine della semifinale col Broendby, il gol nella finale di Coppa Italia con la Samp per un trofeo da consegnare a una Signora con la maiuscola, Donna Flora Viola, da consegnare per consegnare alla storia tutta un'epoca.
Lui, Rudolf Voeller da Hanau, Germania, venne qui dal Werder per volere di Dino Viola, e ci restò per volere di Dino Viola quando prima di una partita col Partizan stava rischiando di andare via, perché aveva segnato solo tre gol il campionato prima e quello che era appena iniziato non era iniziato bene. Rimase e si prese non i trofei ma il cuore. Poi ogni tanto la giustizia capita si manifesti nel calcio e allora con la sua Germania divenne campione del Mondo proprio nel suo Olimpico, e allora col Marsiglia vinse la Coppa dei Campioni in una notte che lui in qualche modo fece anche nostra: dedicò la coppa ai tifosi della Roma in diretta tivvù. Alla Curva Sud, dove volò tante volte ma dove una volta non poté volare e proprio dopo il gol più bello: 18 marzo 1990, Flaminio, per i lavori all'Olimpico in vista degli imminenti Mondiali; Lazio-Roma 0-1, gol di Rudi Voeller. Sarebbe bastato quel giorno per farlo per sempre romanista. Quel giorno volò veramente.