03/05/2015 15:33
LA REPUBBLICA (M. PINCI) - Cinque anni sull’asse Roma-Genova, qualche deviazione saltuaria e decisamente fugace (Torino, Londra), tanti aerei, pochi gol. Marco Borriello torna nella capitale. Da avversario, stavolta: dopo quasi cinque anni anni la sua esperienza romana si è definitivamente conclusa, lasciandosi dietro un senso di ingiustizia e di frustrazione per quei campionati buttati al vento, per riportarlo al Genoa, l’unica squadra forse in cui davvero è riuscito a esprimere le qualità che lo avevano portato fino alla Nazionale.
Chissà che effetto farà a Borriello imboccare il tunnel dell’Olimpico con addosso una maglia diversa da quella giallorossa. Gasperini sta pensando concretamente di impiegarlo dal primo minuto contro i suoi ex compagni, complici anche le defezioni in attacco (a cominciare da Perotti) del Genoa. Fino al 2 febbraio scorso infatti Roma era casa sua. Una casa in cui però si sentiva ospite, e nemmeno troppo gradito: zero presenze stagionali, qualche panchina ma nemmeno un minuto in campo per evitare di far scattare i bonus sul contratto legati alla prima presenza (300mila euro) e alla salvezza (sì, alla salvezza) della squadra, quasi mezzo milione, pesante eredità della precedente gestione societaria. Ora muore dalla voglia di consumare la propria vendetta, anche se il gol manca dal 31 ottobre 2013: “La Roma mi ha bocciato senza vedermi all’opera. Volevo far cambiare idea a qualcuno, ma ero sempre la quarta o quinta scelta”. Eppure anche in passato la Roma non ha mai ostacolato la sua partenza, anzi: ma i numeri del suo contratto hanno costantemente bloccato scambi (era praticamente fatto, nel 2013, quello con Gilardino) o cessioni. A Roma viveva allo Sheraton, vicino all’aeroporto per salire, appena possibile, su un volo per Milano. Un rapporto genuino con De Rossi, uno più complicato con Totti: troppo diversi, Marco e Francesco, uno capace di portare in ritiro una valigia di scarpe alla moda per poter cambiare look ogni sera, l’altro più legato alle proprie tradizioni, a cose semplici e familiari.
Dal 2010, anno del suo sbarco romano, Borriello ha segnato appena 32 reti, più della metà, 17, nella prima stagione romanista, quella dell’inizio deflagrante con Ranieri, della panchina con Montella, dei “venticinquemila gol” (il copyright è suo) e di quello che ha definizio “l’inizio della fine”: colpa, a suo dire, del ritorno di Totti all’antico ruolo di centravanti. Sei mesi alla Juve per vincere il primo scudetto dell’era Conte, sei al West Ham senza giocare (quasi) mai. A Roma un gol importante per il record delle 10 vittorie in 10 gare, poi basta. Con Garcia è arrabbiato perché “mi ha bocciato senza vedermi all’opera”, ma soprattutto Borriello ce l’ha con la società: “Sabatini disse subito che io ero un problema, poi ogni anno compravano una punta, Borini, Osvaldo, Doumbia, io ero sempre il quarto, ma senza un perché”. Ora la Roma, che per inseguire il secondo posto e sperare di superare la Lazio deve battere il Genoa, deve fare i conti con la voglia di vendetta del centravanti scaricato.