20/05/2015 13:25
IL TEMPO (A. AUSTINI) - «Don’t look back in anger» cantavano gli Oasis. Una canzone manifesto degli Anni Novanta, quelli in cui De Rossi muoveva i primi passi da calciatore e guardava avanti. Adesso, con 32 primavere alle spalle e troppe delusioni vissute con la maglia della Roma indosso, sarebbe dura per lui voltarsi indietro senza «anger», senza la rabbia per tutto quello che poteva essere e non è stato.
Ieri Daniele si è divertito a cantare quella canzone dei Gallagher in una clip registrata nella libreria dell’Appia dove ha partecipato alla presentazione di «Dove ti porta il calcio», scritto dal suo amico giornalista di Sky Massimo Marianella. Un pomeriggio piacevole per stemperare il clima-derby, già insopportabile tra le polemiche sullo spostamento della partita su «ordine» di Lotito e l’ansia da prestazione dei giallorossi. Da qui a lunedì sarà sempre peggio. «I giorni passeranno - dice De Rossi - la tensione salirà, ma è una tensione bella visto che si tratta di una partita importante. Ho giocato parecchi derby, ho accumulato una certa esperienza per cui inizio a gestirla in modo abbastanza tranquillo».
Poi, al fischio d’inizio, sarà tutto più difficile. Come potrà uno come Daniele, romanista nelle viscere, non pensare a quel 26 maggio 2013, in cui le lacrime scorrevano sul suo volto distrutto mentre i laziali iniziavano la festa con la Coppa Italia? Stavolta non c’è un palio nessun trofeo ma un traguardo importante: la Champions, i soldi, il futuro, oltre al primato cittadino a cui un romano tiene di per sé.
Sarà una prima rivincita, aspettando quella vera. Perdere questa, intanto, comporterebbe un inevitabile tsunami nell’ambiente giallorosso. De Rossi ci è passato diverse volte, ha superato tutte le crisi, ma a un certo punto aveva detto basta. Proprio dopo quel derby perso due anni fa, aveva chiesto alla società di valutare le offerte e solo perché il Manchester United s’è fatto sotto troppo tardi è rimasto a Trigoria come aveva promesso a Garcia. Non è stato l’unico momento in cui poteva andarsene, ma di sicuro non ci era mai andato così vicino come quella volta. «Ci sono state delle fasi nella mia vita - racconta - in cui ho avuto alti e bassi, momenti in cui ho pensato di poter fare qualcosa di diverso e cambiare. Sono stato indirizzato a fare questo grande passo, ma è andata così. Di indole sono uno a cui sarebbe piaciuto viaggiare, girare, conoscere altre persone e parlare altre lingue. Vorrei migliorare l’inglese e imparare a vivere lontano dagli affetti, senza mamma, papà e gli amici di infanzia. Sarebbe come tagliare un cordone ombelicale». Prima o poi lo farà, nella sua testa dopo aver vinto almeno uno scudetto con la Roma.
De Rossi ha già parlato della voglia di tentare un’esperienza negli Usa, ma non è ancora il momento. «Più tardi possibile - assicura il centrocampista - non voglio smettere e allontanarmi da qui fino a quando mi sento ancora forte fisicamente, in grado di fare qualcosa di buono per la Roma, che è stato il mio grande amore e lo è tuttora. Ho ancora due anni di contratto e due anni passano velocemente, ma solo quando vedrò che gli acciacchi aumentano e le cose girano peggio allora penserò di lasciare». Intanto lo ha fatto Gerrard, suo idolo sin da bambino, che ha deciso di salutare il Liverpool e chiudere la carriera proprio negli States. «Vorrò smettere con la stessa dignità di Gerrard - promette Daniele - il suo addio è stato di una grande eleganza e dignità. Un momento di dolore, di dispiacere, perché ti stacchi da un qualcosa che hai avuto attaccata sulla pelle per tutta la vita. Ma lui non è stato eccessivo, è rimasto meraviglioso fino all’ultimo secondo in cui ha vestito la maglia del Liverpool». Un esempio che De Rossi vuole seguire fino in fondo.