28/05/2015 13:16
GASPORT (A. CATAPANO) Più che l’Internazionale nera del tifo e le gesta dei «nostri» ultrà (due laziali ieri arrestati per lancio di oggetti ai poliziotti), il Viminale da lunedì ha messo nel mirino i comportamenti di calciatori, allenatori e dirigenti. Sembra un paradosso, in realtà ha una logica. Contro la libera circolazione delle persone nell’Unione Europea niente si può (e si deve) fare. Sabato gli ultrà del Verona ospiteranno al Bentegodi i colleghi del Kaiserslautern, impossibile evitarlo. E nemmeno si può vietare con le norme vigenti ad un cittadino polacco di acquistare da casa sua un tagliando di curva Nord. Si sarebbe potuto evitare, forse, che i cinquanta del Wisla Cracovia provocassero i romanisti prima della partita, ma non sarebbe bastato un centinaio di poliziotti e a quanto sarebbe salito il conto degli agenti in servizio?
FATE I BRAVI Molto di più, dicono dal Viminale, si può fare per educare le società a comportamenti più opportuni. In questo senso la Roma, che pure brilla per collaborazione con le autorità, è finita nel mirino del ministero, che ha giudicato: sballate le dichiarazioni della vigilia di Garcia, provocatorie le magliette a fine gara di Totti, censurabili i gestacci di De Rossi, pericolosa la presenza di noti ultrà della Sud in tribuna Monte Mario, quasi a contatto con i tifosi della Lazio: come hanno avuto i biglietti quei gentiluomini? Il Viminale punta il dito soprattutto contro i dirigenti, sono loro che devono indicare ai giocatori cosa non è opportuno fare. Come hanno fatto gli juventini dopo la finale di Coppa Italia: decine di ultrà erano pronti a invadere il campo nei festeggiamenti, allora ai bianconeri è stato suggerito di non spingersi fin sotto la curva. Detto, fatto.