Derby e violenza, superato ogni limite

02/06/2015 14:37

CORSERA (L. VALDISERRI) - Gli stranieri ci invidiano alcune cose e tra queste ci sono il clima, la storia, le bellezze artistiche e naturali, la buona tavola. Roma, capitale d’Italia oggi e del mondo conosciuto un tempo, occupa un posto centrale in questo grande luogo comune sintetizzabile con una formula: «la grande bellezza». Abbiamo la fama di popolo non sempre affidabile, con un senso del dovere intermittente, ma capace come nessun altro di godersi i piaceri della vita. E poi c’è il calcioNel calcio – e il derby ne è senza dubbio la sublimazione – avviene una mutazione genetica che ci trasforma. È meglio vincere con un gol in fuorigioco piuttosto che aver dominato la partita. Il sentimento verso l’avversario è sempre l’odio e mai il rispetto. Il ricorso alla violenza fisica è una componente dello spettacolo.

Capita così che il derby romano non si possa giocare di notte, che servano duemila agenti per «blindarlo», che un intero quadrante della à venga preso in ostaggio, che la macchina del laziale Djordjevic venga circondata da ultrà romanisti a fine gara e, notizia di ieri, che un paio di ultrà laziali cerchi di aggredire Mapou Yanga-Mbiwa, colpevole di aver segnato il gol della vittoria nella stracittadina di lunedì. Nessuno pretende che gli stadi diventino chiese e gli ultrà seminaristi, ma è necessaria un’analisi su come Roma vive il derby e sul futuro di questa partita. Non è più una boutade l’idea delle autorità di farlo giocare a porte chiuse. Eviterà gli accoltellati e l’invasione di ultrà stranieri venuti a portare violenza formato esportazione? Renderà più sicura la vita dei giocatori? Difficile dirlo. Ma è impossibile andare avanti alzando le spalle e dicendo: è il derby…