08/06/2015 13:47
GASPORT (M. IARIA) - Lo scandalo della Fifa, i debiti del calcio italiano, il modello Juventus, Thohir e Pallotta, la lunga partnership con l’Uefa. E un augurio per Michel Platini. Spazia a 360 gradi Federico Ghizzoni, amministratore delegato di UniCredit. Uno che va ascoltato, anche nel mondo della pedata. Perché UniCredit non solo è appena diventata “banca ufficiale” dell’Uefa con una sponsorizzazione a tutto tondo sulle competizioni europee, ma è da sempre uno dei principali finanziatori del nostro movimento. Quello stesso movimento calcistico che, in alcuni casi, si è consegnato anima e corpo alle banche finendo pure per scottarsi.
UniCredit ha rinnovato la partnership con l’Uefa fino al 2018 allargandola, oltre che alla Champions, all’Europa League. Cosa vi ha spinto a farlo?
«Siamo estremamente soddisfatti del successo avuto nei primi 6 anni di sponsorizzazione. Se guardiamo alla valorizzazione del brand, alla riconoscibilità della banca nei vari Paesi e quindi alla propensione a diventare nostri clienti, il ritorno dell’investimento è superiore a qualsiasi intervento di questa natura: parliamo del 225%. Poi ci sono stati benefici molto significativi a livello commerciale: abbiamo organizzato oltre 300 campagne vendendo 1,5 milioni di prodotti nuovi e acquisendo diverse migliaia di clienti. Il 20% dei nuovi clienti è venuto a contatto con UniCredit attraverso la Champions e un altro 20% è stato indirizzato da amici, sempre tramite la vetrina calcistica. Ora, con l’Europa League, possiamo ulteriormente valorizzare la nostra presenza nei Paesi del centro-est Europa. E mi fa piacere che nel pacchetto ci siano anche la Futsal Cup, la Women’s Champions League e la Youth League, oltre alla Supercoppa».
In questi anni il calcio europeo d’élite ha continuato a crescere, a dispetto della recessione economica, confermandosi un fenomeno anti-ciclico. È per le sue caratteristiche speciali che voi avete mantenuto i vostri investimenti? Parliamo una cinquantina di milioni a stagione…
«Cifre non ne faccio. Di certo, il calcio è un formidabile strumento di conoscenza per le aziende: in 6 anni 15 miliardi di persone hanno visto il nostro marchio durante le partite. Le tv sono estremamente importanti e i diritti tv, pure in Italia, continuano a crescere di valore, a conferma di un interesse sempre più alto. Forse il calcio italiano non ha sfruttato questo potenziale come avrebbe potuto, è rimasto indietro scivolando al quarto-quinto posto in Europa, con la Francia che cresce».
Ricette mai applicate per il rilancio di quello che era il campionato più bello del mondo, vero?
«Siamo alle prese con problemi storici: alto indebitamento, assenza di infrastrutture, necessità di aprirsi a investitori stranieri, marketing e merchandising da sviluppare. Io conosco da vicino la realtà del Bayern Monaco, visto che il nostro Ceo in Germania è nel board del club: bene, lì l’approccio all’attività commerciale è molto più evoluto. Mi lasci dire che anche lo Stato dovrebbe dare una mano. Il calcio è uno sport ma anche un grande business. Servono normative più incisive per favorire la costruzione degli stadi e proteggere i marchi dai falsi. Il calcio italiano deve uscire dal passato e fare un passo in avanti in termini di managerialità».
UniCredit ha fatto da regista alle operazioni di rifinanziamento del debito dell’Inter e della Roma. È vero che il mecenatismo ha prodotto anche danni, ma adesso non si sta esagerando con queste operazioni che mettono, in sostanza, i club nelle mani degli istituti di credito?
«Con il fair play finanziario e le nuove logiche industriali del calcio, non si può più pensare di finanziare le squadre a fondo perduto. È la direzione su cui si stanno già muovendo molti presidenti italiani ottenendo i primi risultati. Non giudico se l’intervento di Thohir o Pallotta sia stato positivo o meno per i rispettivi club, ma di certo stanno portando un approccio manageriale e un’attenzione all’equilibrio economico che sono indispensabili per il calcio italiano. Aumentare i ricavi, agganciare gli stipendi ai fatturati: questa mentalità è necessaria. Ogni volta che parlo con Thohir vedo che ha grande attenzione per i nuovi mercati. In Asia ho vissuto per parecchio tempo e non ho mai visto in strada qualcuno con la maglia di un team italiano: è lì che bisogna crescere».
Però non mi ha risposto sulle operazioni di rifinanziamento…
«UniCredit ha fatto da intermediario, ha costruito e gestito le operazioni, non ha finanziato. Si tratta di operazioni collocate sul mercato che non sono nuove all’estero: per esempio, negli Usa hanno riorganizzato il debito così diversi team di pallacanestro o di altri sport. In Italia è un’innovazione importante, l’alternativa è il mecenatismo sportivo. Alla fine siamo riusciti a trovare investitori stranieri come Thohir e Pallotta, bisogna dar loro fiducia».
L’indebitamento del calcio italiano resta elevato: le società di Serie A sono esposte per un miliardo con le banche e gli istituti di factoring. Lei che si trova sull’altro versante, e magari da banchiere gioisce per gli interessi incassati, è comunque preoccupato per lo stato di salute del sistema?
«Il problema c’è, inutile negarlo. Vediamo quanta difficoltà ci sia ogni anno all’atto dell’iscrizione ai campionati o alle coppe, quanti fallimenti nel calcio professionistico si siano verificati. Tutto ciò non trasmette un’immagine positiva. Non si può restare inerti, il calcio italiano deve reagire. E non si può pensare di rientrare da un debito in 12 mesi: bisogna impostare la gestione in maniera diversa, dando prevalenza ai ricavi sulle spese e mantenendo l’equilibrio nel tempo. Anche perché non vedo più gente disposta a coprire le perdite».
Ci sono realtà che hanno già seguito i suoi consigli, come la Juventus.
«È proprio così. Anche se non è riuscita a vincere la Champions, la Juve ha portato a termine un’annata fantastica. Tutto meritato, non solo per quanto mostrato in campo ma anche perché il management in questi anni ha mostrato come va gestito un team di calcio, con investimenti corretti, lo stadio di proprietà, la valorizzazione dei giovani. Peraltro, il fatto che un’italiana sia arrivata in finale di Champions dopo 5 anni ha un impatto positivo su tutto il movimento».
Il calcio mondiale è sconvolto dalle inchieste sulla Fifa. Per un grande investitore cosa significa tutto questo?
«Se fossimo stati sponsor della Fifa, oggi noi valuteremmo la possibilità di lasciare perché non si può legare l’immagine di un marchio a qualcosa di negativo. Con l’Uefa ci sentiamo tranquilli anche perché le negoziazioni sono improntate a rigore e trasparenza massimi. La Fifa deve riformarsi. Quando un’organizzazione trascina così tante persone, non importa più se sia pubblica o privata: i principi di trasparenza e rigore devono essere ancora più stringenti».
Platini è l’uomo giusto per la poltrona di presidente della Federazione mondiale?
«Conosco Platini ma conosco ancora meglio come è stata gestita l’Uefa, ovvero con trasparenza, azioni di rigore finanziario e iniziative commerciali di grande successo. Non so cosa ne pensa Platini, ma credo che potrebbe essere l’uomo giusto per la Fifa».