01/06/2015 15:42
LA REPUBBLICA (E. SISTI) - Si chiude (epoca?) con la scucchiaiata di Totti, emblema di una grande bellezza ammirata e vissuta assai poco spesso in quest’indecifrabile stagione della Roma, e con il gol vittoria di Belotti a tempo scaduto. Si è giocato col pubblico che a un certo punto pensava più a Napoli e con i giocatori (a parte Pjanic e Nainggolan) che non avevano alcuna voglia di pensare perché il grosso era già stato fatto. Si è giocato mentre gli inservienti riempivano gli scatoloni con gli oggetti di scena, gli elettricisti sganciavano i fili, i falegnami smontavano quinte, palcoscenico e poltrone. La stagione è finita. Qualcuno non lo vedremo più. Di quest’ultima “piece” in calendario non importava niente a nessuno. Roma-Palermo è cominciata così, senza premesse, senza prospettive reali, senza un milligrammo di agonismo.
Di evi-dente c’erano soltanto i pirotecnici sforzi degli attori coinvolti per ostentare interessi particolari per questo o quel contrasto. Il Palermo ha segnato due volte, la Roma una. La Roma che “ha vinto il campionato a 19 squadre” presentava due “nuovi”: il ritrovato Balzaretti, che sa ancora crossare, e Spolli, mai visto prima pur essendo arrivato a gennaio. Passerelle malinconiche. Cronaca. Il rigore di Vazquez al 33’ (gomito di Spolli) potrebbe avere il dono di trasformare una cena fra amici mascherati da calciatori in una partita di calcio. Può darsi che alla Roma, per quanto sia tutto abbastanza irrilevante, non vada di chiudere con un’altra sconfitta, avendo già concluso in quell’assurdo modo il campionato scorso (tre legnate consecutive). Alla lotta con i cuscini di piume d’oca si aggiunge Nainggolan (Paredes ko), ma la stizza per l’improvviso svantaggio non appare benzina sufficiente per stimolare l’orgoglio.
Nel secondo tempo entra Pjanic per Ljajic. La Roma si trascina cercando nelle proprie tasche lo spartito di una melodia che possa adattarsi alla sceneggiatura della ”partita inutile”. Si fruga anche Pjanic: forse gli è rimasto qualcosa del derby. Almeno lui pressa mentre dieci metri dietro Doumbia cammina. Pjanic e Nainggolan tentano di risvegliare i compagni, muovendosi anche per loro. Il pareggio di Totti, imbeccato dal belga, sarebbe il perfetto sigillo di ceralacca. Però l’attenzione è così bassa che Belotti si presenta a Skorupski libero come un evaso, libero come un giocatore non dovrebbe mai essere, nemmeno per scherzo.
Magari adesso la gente romanista vorrebbe sapere, senza giri di parole, cosa bolle in pentola, quali carte passano sulle scrivanie, quali pensieri albergano nelle teste di chi dovrà costruire la prossima Roma. Il primo mattone che i tifosi vogliono vedere non è quello dello stadio: è quello della squadra futura, vogliono conoscere l’imminente verità del campo, ossia chi ci sarà e chi no, chi ha voglia di andarsene, chi di restare. E poi magari potrebbe anche essere interessante conoscere il nome di chi preparerà la squadra, sapere come sarà speso, utilizzato, virtuosamente consumato il tesoretto del secondo posto che garantisce l’accesso diretto alla Champions. Magari, nei ritagli di tempo, vorrebbero anche essere rassicurati su chi allenerà e gestirà tutto questo dalla panchina, contando sul fatto che mai, nessuno, nel sempre con- fuso universo della dirigenza giallorossa, osi anteporre i propri interessi a quelli del cuore della gente, quella che fa nascere cori di centomila voci.