26/07/2015 14:43
IL TEMPO (G. GIUBILO) - Oggi avrebbe compiuto novantaquattro anni, l’ottavo Re di Roma, il primo dei tanti che avrebbero scandito le date più significative della storia giallorossa. Un dato anagrafico, il 26 luglio, che mi resta nel cuore anche per motivi personali, in questo caso ricordi infantili, quelli che il tempo non cancella per quanti possano essere le primavere trascorse. Cinque giorni prima era nato infatti mio fratello Corrado, l’unico calciatore professionista della mia famiglia, con la Lazio fino dalla squadra pulcini che aveva sbancato il Prater di Vienna, poi tantissime presenze in Serie A, il vostro cronista sarebbe rimasto a livello di semiprò, troppo presto distratto da obblighi di lavoro, la sciagurata vocazione per il giornalismo che mi tiene tuttora inchiodato davanti a un computer, dopo milioni di tasti battuti sulle macchine per scrivere e mezza vita persa in attesa di collegamenti telefonici precari, prima che l’elettronica ci togliesse questo peso.
Per tornare al Fornaretto, Amedeo Amadei, di mio fratello era sempre rimasto amico carissimo, insieme avrebbero dato vita all’Associazione Vecchie Glorie di Roma e Lazio, con raduni conviviali che erano una riserva di storia e di ricordi preziosi.
Ma questo compleanno, che purtroppo Amedeo non ha fatto in tempo a celebrare, mi offre lo spunto per una storia che sfugge ai dati biografici e alle statistiche banali, ma vuol far conoscere ai più giovani, ma anche ai meno giovani di labile memoria, la figura umana e le peculiarità tecniche, di spessore fuori dalla norma, del Fornaretto di Frascati, che alla massima divisione era giunto ancora in età scolare e che avrebbe regalato avventure uniche alla storia del calcio romano prima e di quello nazionale più tardi, quando le casse giallorosse non avevano potuto negarsi alle offerte dell’Inter, facendo prendere ad Amedeo la strada per Milano, poi sarebbe arrivata Napoli, da giocatore e da allenatore, ma qui si rischia di ricadere in quelle note biografiche che avevo promesso di evitare. Schaffer lo aveva costretto a giocare da centravanti, lui privilegiava posizioni esterne, ma il tecnico ungherese con quella punta ispirata consegnò alla Roma il primo dei suoi scudetti. Come punta centrale. Amedeo fu in grado di esibire il suo asso nella manica, ancora devo vedere, al giorno d’oggi, un attaccante sviluppare la progressione palla al piede con la stessa, fantastica velocità.
Non soltanto rose e fiori, al suo irrompere nel calcio di élite, anche una pazzesca disavventura quando Amadei, accusato di avere colpito con un calcio un guardalinee, incappò addirittura nella squalifica a vita. Ma la giustizia riparò al torto subito quando un compagno meno giovane si prese la responsabilità del misfatto e il Fornaretto uscì immacolato da quella parentesi di popolarità della quale molto volentieri avrebbe fatto a meno. L’abilità nelle finte e le magie nel dribbling erano di primissimo ordine, con quei piedini che neanche i difensori più arcigni riuscivano a frenare con le cattive. Il solo a non accorgersi di Amadei, o almeno a non ritenerlo adatto ai suoi schemi esaltati da due conquiste mondiali, era stato Vittorio Pozzo, il mitico cittì azzurro. Amadei avrebbe avuto il privilegio di giocare al fianco dei fenomeni del Grande Torino, due mesi prima della tragedia di Superga, suo il terzo gol nella vittoria in Spagna.
Ma è il momento di restituire la verità alla storia, per una delle specialità della casa che il Fornaretto offriva ai suoi clienti, in questo caso agli spettatori. Ora di porre riparo a una vergognosa bestemmia, che coinvolge una delle doti più limpide di Amadei, l’esecuzione dei calci piazzati. Troppi cronisti, ma anche qualche firma autorevole del giornalismo nazionale, assegnarono a Mariolino Corso un brevetto in realtà usurpato, quello dell’invenzione della «foglia morta», la punizione battuta a effetto a superare la barriera e infilarsi nell’angolo non difeso dal portiere. Non so dire quanto, in questa opera di fantasia, ci fosse di malafede dettata da esigenze editoriali dell’Alta Italia, e quanto di disinformazione totale. Era il primo campionato del dopoguerra quando gli invincibili granata scesero a Roma contro i giallorossi in versione ospizio. Avrebbero segnato sette reti, quei marziani guidati da Loik, Mazzola, Castigliano e via dicendo. Ma avevano dovuto partire in rimonta perché, prima che lo sventurato Fosco Risorti raccattasse palloni su palloni dalla propria rete, era stato Amadei a incantare con quel destro a giro a eludere la barriera e a lasciare basito Bacigalupo. Quella era la foglia morta autentica, senza manipolazioni faziose. Un altro grande regalo del Fornaretto.