09/07/2015 13:03
IL MESSAGGERO (A. ANGELONI) - Magari aveva mangiato male, oppure si era rotto il televisore della camera, o forse aveva dei normali problemi famigliari, ma l'altra sera Garcia, durante la presentazione della squadra sulla piazza di Pinzolo, ha faticato a essere se stesso. Incupito, distante, poco incline al sorriso e all'applauso. Non il solito Garcia, generalmente più coinvolgente in questo tipo di manifestazioni, più mattatore. Rudi sembra diverso dal "conquistatore" arrivato a Roma due anni fa. Non è facile vivere con chi ha pensato che la decadenza del gioco della Roma fosse solo dovuta a sue responsabilità; e non è semplice adesso svegliarsi la mattina e accorgersi che a salvare le sorti della squadra debba essere il preparatore atletico, che strappa applausi proprio come faceva Rudi fin dai primi momenti dell'estate del 2013. Garcia tiene un profilo basso, vive la sua avventura in maniera molto professionale. Nelle occasioni che ha a disposizione è sempre pronto a far notare urbi et orbi che la rosa a sua disposizione in questo momento è fatta di un solo acquisto e che con la Roma è arrivato due volte al secondo posto. Come a dire: se non arrivano i calciatori veri non andiamo da nessuna parte. La sua forza, nonostante qualche sorriso in meno regalato al mondo, è comunque il risultato portato a Trigoria in questi due anni, cosa non riuscita a Luis Enrique e Zeman. I soldi incassati per i secondi posti sono li a testimoniarlo. Per non parlare poi della media punti del biennio: 2,06 a partita (45 vittorie, 20 pareggi, 11 sconfitte) meglio di Spalletti e Capello (1,89) e di Eriksson (1,73). Meglio di tutti nella storia della Roma. Il migliore, ma senza vincere. Qui la sua forza diventa debolezza. E questo non lo accetta, va anche compreso. Pesa il timido 2015, che ha portato 8 vittorie, 10 pareggi e 4 sconfitte. In più gli infortuni della passata stagione, spesso ricordati da Pallotta stesso.
RAFTING A META' - Garcia sta lavorando sul gruppo con la massima professionalità e ieri ha preteso di stare con i suoi giocatori nella "seduta" di rafting a Dimaro, nel torrente Noce, a una trentina di chilometri da Pinzolo (Totti, De Sanctis, Florenzi, Gervinho e Maicon sono rimasti a lavorare con Norman). In serata invece il tecnico ha riunito tutti per una cena in una baita a Campo Carlo Magno, una località a pochi chilometri da Pinzolo. Forse Rudi, in questa fase della preparazione, sente il bisogno di ripristinare la leadership nel gruppo, che in questo momento guarda Norman con l'occhio affascinato. Inevitabile che si crei un dualismo tra il preparatore star e l'allenatore "dipendente", che però non deve esistere e non esiste. Per evitare fraintendimenti e lotte intestine e per provare a ripristinare, almeno formalmente, i ruoli, il duo Norman-Lippie, attraverso Roma radio, ha fatto sapere che «c'è sintonia con l'allenatore, il nostro lavoro è di supporto al suo: lo show non siamo noi, è la Roma». Rudi teme che, tutti questi confini imposti dal club, finiscano per fargli perdere appeal sul gruppo, che poi deve andare in campo ai suoi ordini, giocare e vincere le partite. I calciatori li sceglie la società, il medico pure, lo staff dei preparatori e medici è stato scelto dal club, il team manager messo lì dalla dirigenza. Tutti uomini di fiducia di Pallotta & company e non suoi. Garcia non è Ferguson, non è nemmeno Mancini, è una figura che rischia lo svilimento all'interno di questo contorno che, riferiscono, non gli fa certo la guerra. I giocatori che arriveranno gli daranno un po' di respiro in più, poi sarà la partenza della stagione, con le partite, a dire se questo binomio innaturale per noi, ma molto american style, porterà i risultati. La sfida è aperta, anche Garcia accetta il confronto. La voglia di rivalsa è tanta, verso l'esterno, e forse pure verso l'interno.