09/10/2015 16:26
CORSERA (G. PICCARDI) - Macbeth, in confronto, è un romanzo di formazione per educande. Nulla, nel terremoto piotato da Sepp Blatter che sta azzerando i vertici del calcio mondiale, è casuale. L'opera moralizzatrice del Comitato etico della Fifa — creazione ed emanazione, vale la pena ricordarlo, dello stesso Blatter — dopo il numero uno (90 giorni di sospensione) colpisce con la stessa durezza (più eventuale proroga di 45 giorni) Michel Platini, presidente Uefa e successore designato al trono, e Jerome Valcke, segretario generale accusato di essersi arricchito vendendo a prezzo gonfiato biglietti per l'ultimo Mondiale. Considerato che il sudcoreano Chung Mong Joon è stato sospeso per sei anni dopo essere stato riconosciuto colpevole di corruzione nell'assegnazione dei Mondiali 2022 al Qatar, oggi l'unico candidato ufficiale alla successione di Blatter è il Principe giordano Ali Bin Al Hussein, con zero possibilità.
Con molti scenari ancora aperti (le candidature si chiudono il 26 ottobre, il Congresso straordinario della Fifa che sceglierà il nuovo presidente è in calendario il 26 febbraio 2016) e il cadavere ancora fumante di Platini sulla scena del crimine (le Roi, riconfermatissimo dall'Esecutivo dell'Uefa, annuncia appello e non troverà la forza di volare a Baku per Azerbaigian-Italia: «Respingo tutte le accuse e lotterò perché la verità emerga: questa storia è una farsa, nulla mi farà rinunciare»), una sola certezza sostiene Sansone Blatter nella sua corsa al massacro contro i filistei: il 29 maggio, un Blatter già in piena tangentopoli iniziava il quinto mandato battendo 133 voti a 73 il Principe Ali al-Hussein. Quattro mesi fa la credibilità dell'uomo di Visp presso le 209 federazioni affiliate, cui distribuisce favori e prebende da 34 anni (17 da segretario generale e 17 da presidente), era la stessa di oggi. E poco — non c'è margine, non c'è humus, probabilmente non c'è volontà — cambierà nei prossimi mesi salvo clamorosi colpi di scena o un rinvio che non gioverebbe all'immagine spappolata della Fifa, così lercia da fare un po' schifo ai suoi stessi sponsor.
Forte di un pacchetto di voti erodibile nei numeri ma inscalfibile nella sostanza (Africa, Caraibi, Oceania, parte dell'Asia, un pizzico di Sudamerica e le piccole federazioni extraeuropee rappresentano il blocco blatteriano), il reuccio di Fifastraße 20, a Zurigo, è pronto a lanciare il suo candidato — Tokyo Sexwale, sudafricano, 62 anni, uomo d'affari e politico anti apartheid, finito a Robben Island come Mandela — verso la poltrona più ambita e più ricca dello sport, pilotando la sua successione anche dalla cella di un carcere di massima sicurezza, cioè dove il Dipartimento di giustizia americano, tramite la longa manus del Procuratore generale della confederazione svizzera Michael Lauber, vorrebbe spedirlo per le sue malefatte. Giudizi morali a parte (chiedersi se sia più grave aver firmato un contratto sfavorevole alla Fifa con la federcalcio dei Caraibi, violando i suoi doveri di gestione, o aver versato 2 milioni di franchi sul conto corrente di Platini, configurando un pagamento illecito, è come sfogliare 50 sfumature di Belzebù), la sensazione è che prima di immolarsi sull'altare del Comitato etico Sepp Blatter abbia blindato l'eredità nelle mani di un amico fidato che sappia tutelarne il passato e apparecchiarne il futuro (ha solo 79 anni, che diamine), magari garantendogli un ruolo onorario ma ancora operativo.
Il Grand Hotel Fifa, d'altronde, tra voli in business e alberghi a cinque stelle, tra champagne e coquillage, è uno dei luoghi più ambiti per la pensione. Difficile pensare a sconvolgimenti di un piano così ben orchestrato. Tra i grandi ex calciatori pochi hanno un profilo alto (il non immacolato Beckenbauer? Rumenigge?) in grado di far deragliare Blatter. E ha colpito, ieri, la potenza del tuono emesso dall'Olimpo di Losanna da Thomas Bach, presidente Cio: «Basta! Serve una candidatura esterna di elevata integrità». Il miracolo nelle mani di una donna? Nel frattempo a reggere la Fifa ci pensa il camerunense Issa Hayatou, già indagato per conflitto di interessi. John Gotti, da quelle parti, sarebbe stato un idolo.