05/10/2015 14:03
LA REPUBBLICA (E. SISTI) - C'era bisogno di uno spiraglio, l’aria era viziata. Grazie a un Palermo senz’anima né voglia per più di un’ora, la Roma torna dalla Sicilia con i polmoni ripuliti e con la prospettiva di una sosta benedetta che pare fatta apposta per recuperare i malati e capirsi meglio.
Risolve la pratica in mezz’ora, va sullo 0-3 senza essere mai disturbata, nemmeno per sbaglio, da un tentativo di pressing, da una qualche forma, anche primitiva, d’opposizione. Rischia nel pittoresco finale, regala il 2-3 a Gonzalez (il peggiore) e poi blinda i tre punti con Gervinho. Finisce 2-4: «Non avevo dubbi, bella reazione, la squadra c’è sempre», ammette Garcia uscendo dalla graticola. Nel primo tempo il divario era stato imbarazzante. Le motivazioni erano così mal distribuite (tante da una parte, zero dall’altra) che sembrava di essere a fine maggio e che il Palermo fosse sceso in campo già retocesso. Da una parte c’era una squadra risistemata tatticamente col 4-2-3-1, finalmente equilibrata, più sensata, svincolata dal dogma del 4-3-3. Dall’altra undici pantere rosa dalle cadenze equatoriali.
Ormai è un fatto: senza il peso (la pesantezza) di tre attaccanti statici e maledettamente simili tra loro, la Roma assume l’aspetto di una squadra più armoniosa in cui la polivalenza di alcuni elementi diventa cruciale. Florenzi spostato in avanti può permettersi di fare il terzino senza l’ansia che lo travolge quando parte ufficialmente terzino. Da centrocampista dietro un trio di trequartisti e una punta, Pjanic può aumentare il tasso numerico in fase offensiva verticalizzando a piacere, con o senza palla. Florenzi e Pjanic erano gli unici superstiti della Roma scesa a Palermo lo scorso anno. Proprio loro due, introvabili dai cinquanta metri in su, si prendono la partita. Alla prima accelerazione, dopo meno di due minuti, la coppia squaglia il centro della difesa di Iachini costringendo Gonzalez e El Kaoutari a rendersi conto di quale materia fosse fatta la loro giornata: inconsistente. Il bosniaco scavalca Sorrentino (2’). Dopo altri dieci minuti, ai molli guardiani siciliani basta un liscio di Pjanic per salire congestionati e senza logica, come se non esistessero altri romanisti in circolazione. Florenzi rimane solo: un’area tanto sguarnita la si vede soltanto sui calci di rigore (13’). Zamparini minaccia fustigazioni dalla tribuna (ritiro in Friuli e Guidolin dietro l’angolo). Lo 0-3 è merito di un Gervinho formato Higuain (27’). Se al Palermo manca a lungo Vazquez (poi una traversa e un assist), i centrali di difesa, Hiljemark (che pure cerca di galleggiare davanti a De Rossi ma non riceve una sola palla pulita), Chochev, Lazaar, tutti irriconoscibili, la Roma dimostra che quando il ritmo non è altissimo, o lo fa lei, che quando può accorciarsi e ripartire per mancanza di “opponents”, i suoi piedi sono piedi che contano.
E una più accurata disposizione tattica non costringe né Salah né Gervinho a mascherarsi inutilmente da facitori di gioco. Gilardino appena entrato, a inizio ripresa, attenua la malinconia facendo l’unica cosa di calcio fra i suoi: mette De Rossi a sedere per l’1-3 (13’ st). Con Gilardino ( cui Szczesny nega la doppietta) il Palermo trova tardiva energia. Un po’ stanca, la Roma (in cui debuttano Emerson Palmieri e Gyömber, che con Uçan compongono un centrocampo mai visto e che forse mai rivederemo) si protegge col 4-4-2 e poi col 4-4-1-1. Ma ormai è tardi per tutto, persino per autolesionarsi. L’arrembaggio del Palermo è un boomerang: va sul 2-3 ma si scopre per il 2-4. La giusta distanza.